L’URLO DELLE DONNE TRANS DI COLORE: ACAB!
Gli abusi della polizia sulla comunità nera transgender di New Orleans.
Così come le Rivolte di Stonewall, ricordate durante il mese del Pride, le proteste di oggi si oppongono agli abusi, alla profilazione razziale e alla violenza della polizia. Le rivolte del ‘69 erano guidate da donne trans di colore e drag queen e univano diverse etnie, identità di genere e orientamenti sessuali contro l’atteggiamento discriminatorio da parte della polizia. Per dirla in un altro modo, l’atteggiamento discriminatorio da parte della polizia ha permesso alla comunità queer di unirsi sotto un’unica bandiera. L’alleanza ha iniziato a sfaldarsi quando l’omosessualità è diventata accettabile, fino a giungere a un punto di rottura in seguito ai movimenti in favore dei matrimoni omossessuali. Ogni anno però il Pride cerca di sostenere l’unità fittizia del nostro consunto acronimo, LGBTQIA+. Come dimostra la recente baraonda sorta dalla necessità di trasformare il Pride di Los Angeles in una marcia a favore del Black Lives Matter, pianificata in uno slancio di entusiasmo, poi cancellata mentre le alleanze si sfaldavano, le persone queer bianche e quelle di colore, le persone cis e quelle trans, spesso hanno visioni diverse su come e se apportare cambiamenti all’interno delle forze dell’ordine.
Nei primi anni quando la polizia faceva incursione nei bar per gay, ricattava lə proprietariə e picchiava gli omosessuali nelle strade e nei parchi, potevamo definirci una comunità presa di mira dalle forze dell’ordine. Ma oggi, le persone queer che subiscono il maggior danno a causa dei pregiudizi dei poliziotti sono le donne trans di colore, sottoposte a una violenza di stato radicata nell’ipersorveglianza delle minoranze etniche e povere, e nella criminalizzazione e denigrazione del lavoro sessuale (sempre accompagnate dalla supposizione che se una donna trans si fa vedere in pubblico è sicuramente una prostituta). Mettere fine alla violenza che le donne trans di colore subiscono per mano della polizia richiede quindi una comprensione di come tutto questo poggi le basi all’incrocio tra razzismo, sessismo e classismo. Inoltre, richiede che si debba rinunciare alla storia che la “comunità LGBTQIA+” condivida un bagaglio esperienziale e di sofferenze uniforme
«Le persone queer bianche o di colore, le persone cis e trans, spesso hanno visioni diverse su come o sulla necessità di apportare cambiamenti all’interno delle forze dell’ordine.»
Nella primavera del 2019, ho fatto volontariato all’American Civil Liberties Union (ACLU) della Louisiana, dove il mio compito era quello di abbozzare un resoconto preliminare su come le relazioni tra il dipartimento di Polizia di New Orleans e la comunità LGBTQIA+ della città fosse migliorato, peggiorato o rimasto lo stesso da quando nel 2013 è stato emesso un decreto federale, ossia un accordo che ha lo scopo di risolvere una disputa tra due parti, in questo caso la polizia di New Orleans e la comunità LGBTQIA+. Tra la lunga lista di problemi elencati dal decreto c’era il pregiudizio nei confronti dei «membri della comunità LGBTQIA+».
La mia prima raccomandazione per l’ACLU, basata sulle interviste con i membri della comunità queer di New Orleans, principalmente proprietariə e dipendentə di bar e locali per gay e gruppi di giovani persone trans di colore, fu quello di smettere di concentrarsi sulla comunità LGBTQIA+ nel suo insieme e di guardare con più attenzione al trattamento delle donne trans di colore da parte della polizia. Perché?
Gli omosessuali con cui ho parlato, principalmente ma non solamente bianchi, non avevano quasi nessuna lamentela da indirizzare al dipartimento di polizia di New Orleans. Baristə, così come manager e proprietariə dei locali, apprezzavano la sicurezza che la polizia garantiva loro. Alcuni locali per gay addirittura assumono agenti fuori servizio o in pensione per la sicurezza durante eventi speciali. Potrebbe sorprendervi, ma un barman di colore di un locale storico per gay ha ammesso di non aver avuto alcun problema con il dipartimento di polizia di New Orleans negli anni del suo impiego.
I baristi gay e le bariste lesbiche bianchǝ hanno lamentato solo il fatto che la polizia non arrivava abbastanza velocemente quando chiamata a risolvere una rissa. Negli anni ’70, tenevamo d’occhio la polizia nei nostri bar, oggi invece non vogliamo che arrivi in ritardo. Tre impiegatə bianchə di bar gay hanno dichiarato di essere sospettosə delle donne trans di colore, che accusano di aver rubato ai clienti nei loro locali. Questo contrasto crea ulteriori problemi all’approccio unilaterale sull’atteggiamento della polizia nei confronti della comunità LGBTQIA+.
Le mie dieci interviste, effettuate in luoghi di incontro per persone omosessuali, hanno rivelato che tre incidenti relativi alla cattiva condotta della polizia implicavano uomini vestiti da donna: unǝ barista ha visto dei poliziotti far finta di niente di fronte a un gruppo di uomini che stavano molestando una persona di genere non conforme; un altro barista ha riportato che la polizia non ha risposto adeguatamente quando degli uomini hanno assalito una sua amica trans; e il manager di un bar per gay è stato testimone delle molestie che ha perpetrato la polizia di New Orleans e il conseguente immotivato arresto ai danni di una drag queen del posto.
Anche se in numero esiguo, questi incidenti rivelano la possibilità che la polizia di New Orleans sia ostile verso le persone la cui identità di genere femminile entra in conflitto con il sesso maschile assegnato alla nascita. Le interviste che ho condotto mostrano quanto la stessa comunità queer sia propensa a credere negli stereotipi di genere: i maschi di colore sono iperagressivi, le femmine di colore sono ipersessualizzate, la trasgressione di genere è ingannevole e così via.
Questo, invece, è quello che ho imparato, da una decina di donne trans di colore. Una donna, Nia, non frequenta più i bar e i locali gay per paura di venire molestata o arrestata dalla polizia di New Orleans. Alcuni anni fa, è stata perseguita per adescamento e da allora è stata ricattata e molestata sessualmente dai poliziotti. Due amiche di Nia, una donna trans e una lesbica, entrambe di colore, mi hanno raccontato che, quando frequentano i bar del Quartiere Francese, che siano per gay o meno, sono costantemente fermate dalla polizia di New Orleans e a volte anche arrestate perché sospettate di prostituzione.
Un’altra giovane donna, Jade, ha raccontato di aver ricevuto un pugno in faccia da parte di un ufficiale che ha fatto irruzione nella sua abitazione senza giusta causa. Jade mi ha spiegato che se io, un uomo gay bianco, e lei uscissimo insieme, la polizia ci fermerebbe e arresterebbe lei per prostituzione.
Un’altra donna è stata fermata e aggredita da due poliziotti di New Orleans senza motivo.
Una giovane donna mi ha raccontato che i poliziotti hanno osservato compiaciuti mentre veniva molestata da un turista ubriaco.
La regola generale nei “cattivi rapporti” con i poliziotti di New Orleans sembra questa: un ufficiale prende da parte e ferma una giovane persona di colore per motivi non specificati o inventati; quella persona di colore si rivela trans o non-binary, e il suo genere non conforme porta al maltrattamento e alle molestie. La polizia passa quindi a supporre che questa persona si prostituisca, assunzione alla quale segue una perquisizione inopportuna e infine la violenza. Questo suggerisce che il comportamento pregiudizievole della polizia nei confronti delle persone trans è da ricercarsi nell’eccessivo controllo dei quartieri composti per lo più da minoranze più che in un pregiudizio nei confronti della comunità LGBT nel suo complesso, per cui ci sono poche prove.
Ci sono molti limiti a questa inchiesta condotta in una sola città, poiché son ben noti i numerosi casi di poliziotti che maltrattano coppie gay o lesbiche che si tengono per mano in strada, o di poliziotti che senza alcuna ragione irrompono in luoghi di incontro per omosessuali. Ma siamo sinceri: per molte ragioni, incluso il successo del movimento per i diritti gay, l’esplosione dell’incarcerazione di massa su base razziale, la ghettizzazione, la deindustrializzazione delle città e l’aumento della disparità di reddito, i gay e le lesbiche benestanti e bianchi hanno una relazione con la polizia che non ha nulla a che vedere con quella che hanno le persone di colore con redditi inferiori, in particolare le donne trans di colore. Se l’acronimo LGBTQIA+ si divide sull’atteggiamento da riservare ai poliziotti, quali altri problemi sociali stiamo facendo finta di non vedere? Una politica L-G-B-T-Q-I-A condivisa dovrebbe essere discussa in base ai dati, piuttosto che essere data per scontato sotto una bandiera del Pride con sempre più colori.
New Orleans, come altre città americane negli ultimi dieci anni, ha implementato nuovi regolamenti per migliorare la relazione tra il dipartimento di polizia e la “comunità LGBTQIA+”, anche se questi si riferiscono, esplicitamente e quasi interamente, al fermo, alla perquisizione e all’arresto di persone trans. Le città in tutto il paese hanno incaricato “intermediariə LGBTQIA+”, spesso un ufficiale gay o lesbica o un civile, che agiscano come emissari tra la polizia e le persone queer del posto. Il punto di partenza per queste riforme ha sempre riguardato i comportamenti negativi della polizia nei confronti delle donne trans o la violenza da parte dei civili nei confronti delle donne trans alle quali la polizia ha risposto in maniera non appropriata. Infatti, nel 2013 il Dipartimento di polizia di New Orleans ha emesso un decreto federale, nel quale vengono descritti casi di maltrattamento da parte della polizia nei confronti di donne trans di colore, comprendendoli però sotto il più ampio cappello della discriminazione nei confronti della comunità LGBTQIA+.
Un sondaggio del 2014 condotto da BreakOUT!, un’organizzazione di giovani di colore queer con sede a New Orleans, dimostra che nei più evidenti casi di abusi da parte della polizia (insulti, molestie, richieste di favori sessuali, fermi e perquisizioni ingiustificati, ecc.), sono le persone trans a essere prese di mira più spesso. E le persone LGBTQIA+ di colore hanno molte più probabilità di essere prese di mira dei loro compagnə bianchə.
Analizzare l’utilità dell’acronimo LGBTQIA+ quando si parla di abusi della polizia, serve a capire se questo rappresenta in modo scorretto anche altri problemi sociali. Se ci si concentra sull’impatto che i pregiudizi hanno sulla comunità LGBTQIA+ nel suo complesso, si rischia di mettere in ombra le discriminazioni subite da una singola categoria e delle ragioni sottostanti tali discriminazioni. Quando sentiamo «studi hanno rilevato che fra il 20% e il 45% dei giovani senza fissa dimora si identificano come membri della comunità LGBTQIA+», ad esempio, dovremmo farci delle domande sulla percentuale nascosta nella percentuale: quanti di questi giovani sono stati “intervistati”? Quanti di loro sono “trans” o “non-binary”? I percorsi della vita da senza dimora potrebbero essere diversi ad esempio per le ragazze bisessuali, i ragazzi gay e le persone trans?
Un altro studio mostra che «le persone LGBTQIA+ nel loro insieme hanno un tasso di povertà del 21,6%, che è molto più alto del tasso del 15,7% per gli etero cisgender» e specifica immediatamente che «tra le persone LGBTQIA+, le persone transgender hanno un tasso di povertà particolarmente elevato, 29,4%». Dobbiamo mettere in discussione l’acronimo LGBTQIA+ quando parliamo di bullismo, poiché sembra che lə giovani queer siano maggiormente bullizzatə per trasgredire le norme di genere più che per esprimere desideri non eterosessuali. Sono i “travoni” e i “maschiacci”, le persone trans e non-binary che spesso vengono insultatə e picchiatə. Comprenderemmo meglio il bullismo nei confronti della comunità LGBTQIA+ se lo definissimo un bullismo di genere? La Corte Suprema è andata nella direzione giusta affermando che la discriminazione sul posto di lavoro di persone gay o trans è sempre una discriminazione basata sul sesso, e sulle soffocanti aspettative sociali nei confronti del genere.
Non sto dicendo che le persone trans se la passano peggio di tutti, o che le persone trans di colore sono quelle messe peggio ancora, tuttavia non è un’assunzione completamente errata. Mentre piangiamo un Pride senza parate e protestiamo contro uno stato di polizia razzista, dobbiamo usare questo tempo per considerare come l’acronimo LGBTQIA+ possa sabotare o nascondere l’esistenza di alleanze molto più potenti e reali.
L’autore di questo articolo è Joseph J. Fischel, professore di studi di genere all’Università di Yale e autore dei saggi Sex and Harm in the Age of Consent e Screw Consent: A Better Politics of Sexual Justice. Questo articolo è stato pubblicato su The Boston Review e lo potete trovare in lingua originale qui.