STORIA DEL FEMMINISMO IN RUSSIA – SECONDA PARTE
Infermiere durante la Seconda guerra mondiale, “madri eroine” durante la Guerra Fredda fino alle attiviste dei giorni nostri, ecco le donne che hanno fatto la storia dei movimenti femministi in Russia.
«Le giovani donne che presero parte alla guerra… erano superiori all’uomo medio che si trovava al fronte… e non c’è da stupirsene, poiché si veniva scelte tra diversi milioni di donne. Gli uomini, d’altro canto, non passavano per un processo di selezione: si gettava la rete e venivano chiamati tutti alle armi, e portati via… Ritengo che la parte migliore della nostra gioventù femminile sia al fronte.»
Michail Kalinin, Presidente del Consiglio Supremo dell’Unione Sovietica
L’Unione Sovietica dimostrò grande unità durante gli anni della Seconda guerra mondiale, e anche le donne presero parte attivamente all’azione bellica. Ogni giovane in buona salute tra i 18 e i 25 anni era soggetta alla mobilitazione. I criteri che venivano tenuti in considerazione erano l’educazione (idealmente non inferiore alla quinta elementare), l’appartenenza al Komsomol, lo stato di salute e l’assenza di prole. La maggior parte di loro era volontaria. Le mobilitazioni femminili più massicce avvennero nel 1942, quando al fronte furono convocate 170.000 komsomolke.
La rappresentanza femminile più consistente nella Seconda guerra mondiale fu quella dei reparti sanitari. Il 41% dei medici dell’Armata Rossa era composto da donne; nel reparto di chirurgia la cifra si alzava al 43,5%.
Nel 1944 la legislazione familiare venne inasprita. In conformità con la politica di glorificazione della realtà sovietica fu introdotto il titolo di «Madre-eroina», con relativo ordine omonimo, conferito alle donne che davano alla luce ed educavano dieci o più figliǝ.
Al termine della guerra divenne evidente che lo Stato vedeva le donne solo come madri e lavoratrici. La comunità femminile venne rapidamente estromessa dalle posizioni di leadership nelle imprese. La disparità di genere, causata dalla guerra e dalla repressione, assieme alla morte di una larga parte della popolazione maschile deformarono i rapporti tra i due sessi. Una porzione rilevante di un’intera generazione sovietica crebbe senza padri. L’assenza della figura paterna conseguente alla guerra influenzò la successiva cultura delle relazioni tra uomini e donne in tutte le sfere della vita. Le madri rimaste sole con prole numerosa costituivano ora la parte più bisognosa della popolazione sovietica.
La criminalizzazione dell’aborto fu eliminata solamente nel 1955, in questo modo le donne e le loro famiglie tornarono a gestire il controllo della gravidanza. Tuttavia, questa svolta non fu debitamente accompagnata da misure quali il rafforzamento dell’educazione sessuale o la disponibilità di contraccettivi affidabili, e l’aborto divenne in URSS un metodo di controllo riproduttivo di massa; cosa che fu taciuta dal dibattito pubblico e dalla stampa.
Sotto Chruščëv furono reintrodotti i žensovet (Consigli delle donne); ciononostante, le loro agende non venivano stabilite dai membri stessi, bensì dalle organizzazioni di partito o statali per le quali queste associazioni femminili operavano. In questo modo, sebbene all’inizio degli anni ‘60 la politica di genere sovietica divenne più liberale, lo Stato continuava a dominare tanto la partecipazione politica femminile che le relazioni tra i generi. Ekaterina Furceva fu l’unica donna ad accedere ai vertici del potere dell’epoca.
La semplificazione delle procedure per il divorzio (1965), il diritto all’ottenimento di una quota fissa di alimenti, corrispondente al 25% dei guadagni del marito che abbandonava il nucleo familiare (1967), l’introduzione di congedi pagati per la maternità e aiuti economici per lǝ figliǝ di ragazze madri e donne divorziate (Сodice sul matrimonio del 1968) contribuirono al miglioramento della condizione della donna. Eppure, la quotidiana disparità con gli uomini e le inferiori possibilità di ottenere stipendi più alti e tempo libero di qualità rimanevano taciute, così come il tema dell’aborto.
Di come doveva essere la paternità (a differenza di quanto avveniva per la maternità) non si parlava: la parità tra uomini e donne era intesa come uguaglianza di status giuridico, e non in termini di possibilità per la crescita del proprio potenziale personale e civile.
Alla fine degli anni ‘70, le pubblicazioni per le donne, Rabotnica (Lavoratrice) e Krestjanka (Contadina), proponevano il vecchio stereotipo sovietico della donna attivista e lavoratrice (a cui però rimanevano i doveri di madre modello).
Nello stesso periodo, uscì in versione samizdat la rivista Ženšina i Rossija (La donna e la Russia), le cui redattrici erano le leningradesi T.M. Goričeva, N.L. Malachovskaja e T. A. Mamonova.
Successivamente, tra il 1980 e il 1982, la redazione pubblicò la rivista Marja, fondando anche l’omonimo club femminile.
Le pubblicazioni femministe del dissenso erano dedicate ai problemi non affrontati dalla società, ponendo l’accento soprattutto sulla condizione della donna: erano volte a far chiarezza sulle problematiche di natura psicologica nelle relazioni tra uomini e donne, sulle questioni familiari, sulla condizione delle donne in prigione e senza tetto, solo per citarne alcune.
Nel 1977 fu promulgata la nuova costituzione. La proposta di integrare la normativa sulla parità di diritti tra uomini e donne con la dicitura «uguali doveri» non trovò consenso.
Agli inizi degli anni ‘80, tra le fila del partito comunista, le donne rappresentavano circa il 20%, ai vertici direttivi però costituivano meno del 2,8%, mentre al Сomitato Centrale del PCUS non ce n’era neanche una.
La situazione era analoga nell’ambito produttivo e scientifico, come anche nel settore della sanità pubblica e dell’istruzione: come collaboratrici, le donne rappresentavano più della metà della forza lavoro, ma a livello decisionale non erano più del 5%.
Le riforme della metà degli anni ‘80 cambiarono la condizione della donna nella società. Posero i presupposti per la comparsa di nuove forme di movimenti femminili e per la nascita di numerosi gruppi sociali, che iniziarono a ottenere non solo una parità giuridica e formale, ma una reale uguaglianza di genere.
Tuttavia, si potrà veramente parlare di movimenti femminili soltanto agli inizi degli anni ‘90, in epoca post-sovietica. Infatti, iniziarono a nascere molte organizzazioni femminili indipendenti, il cui numero crebbe costantemente, arrivando a circa 160. Anche se la maggior parte di queste non si era prefissata degli obiettivi politici, svolgendo solo funzioni di aiuto sociale per donne meno abbienti, donne con figliǝ malatǝ e ragazze madri, a poco a poco alcune tra queste organizzazioni iniziarono ad avanzare delle richieste allo Stato sul rispetto dei diritti lavorativi e sociali delle donne, sulla promulgazione di leggi anti-discriminatorie e sull’abuso domestico. Qualche gruppo tentò di sostenere l’imprenditoria femminile. Nell’arena politica fecero la loro comparsa figure femminili di spicco: Nina Andreeva, Valerija Novodvorskaja, Galina Starovojtova, Kazimira Prunskene. Nel dicembre 1993 il partito Ženščiny Rossii (Donne della Russia) ottenne per la prima volta l’8,13% di voti e costituì la propria rappresentanza alla Duma.
Contemporaneamente a questi eventi, una particolarità di questo periodo fu la pubblicazione di «riviste femminili», che rappresentavano oltre il 30% dei giornali letti. In queste riviste veniva ribadito lo stereotipo della donna come oggetto sessuale, i cui interessi si limitavano alla cucina, alla prole e alla cura di sé. La divulgazione dei reali problemi delle donne e la ricerca di possibili soluzioni erano del tutto assenti in tali pubblicazioni o figuravano in modo molto parziale.
Con l’avvento del nuovo secolo, in Russia sono sorte delle associazioni dichiaratamente femministe. Il loro obiettivo è formare l’autocoscienza delle donne e favorire la comprensione delle cause della diseguaglianza di genere nella società russa. Le organizzazioni femministe si sono pronunciate su molti temi: dalla violenza domestica alla disparità salariale.
Internet ha contribuito notevolmente allo sviluppo del movimento femminista, così come i risultati ottenuti nei paesi occidentali, e in particolare in quelli scandinavi, in materia di parità di genere. Le attiviste hanno creato siti web, portato avanti campagne educative per poi passare gradualmente alle manifestazioni pubbliche. Nel 2011 ha riscosso molto successo il corteo femminista che, al grido di «Svobodnoe materinstvo» (Maternità libera), manifestava contro il divieto all’aborto medico sicuro.
Dal 1° gennaio 2021 è entrato in vigore il decreto del Ministero del Lavoro della Federazione Russa che ha ridotto la lista delle professioni vietate alle donne da 456 a 100. Si tratta di un grande risultato per il femminismo; infatti, molte professioni riportate in questo elenco costituiscono quasi l’unica fonte di guadagno accessibile. Adesso le donne possono ufficialmente guidare furgoni con cassoni ribaltabili, camion Kamaz e autocarri, oltre a poter lavorare come trattoriste. Tuttavia, la gestione di attrezzature per l’edilizia, come bulldozer, escavatori e motolivellatrici, rimane ancora inaccessibile alle donne.
Oggi il femminismo si divide in molte correnti, ma quella più popolare al mondo è il femminismo intersezionale. Chi aderisce a questo movimento si oppone non solo al sessismo, ma anche a razzismo, omofobia, abilismo, ageismo e altre forme di discriminazioni. Alla base del femminismo intersezionale risiede il riconoscimento di un sistema di privilegi, ovvero di benefici riservati o negati alle persone sin dalla loro nascita in base a sesso, colore della pelle, orientamento sessuale, caratteristiche fisiche, che influiscono sul grado di oppressione di un individuo.
In Russia, le brillanti rappresentanti del movimento femminista (Ol’gerta Charitonova, la creatrice de Il manifesto femminista russo, Tat’jana Šukareva, Lolita Agamalova, Ljubava Malyševa, Nika Vodvud, Tat’jana Nikonova, Aleksandra Mitrošina, e altre) tengono webinar, girano documentari, organizzano flashmob, monetizzando al contempo la propria popolarità.
Le problematiche principali delle donne russe rimangono:
- la sicurezza, in quanto la violenza domestica è depenalizzata;
- la disparità salariale a parità di lavoro, infatti (lo stipendio delle donne è del 30% inferiore a quello degli uomini);
- la povertà femminile, in quanto le madri single si collocano nelle fasce della popolazione più bisognose, non ricevendo dei sostegni economici. Solo le donne prendono il congedo di maternità; le donne con bambinə piccolə vengono assunte con riluttanza ed è più probabile che non ricevano promozioni a causa dei pregiudizi;
- gli stereotipi di genere, il sessismo quotidiano. Le donne sono costrette a fare i conti con le norme dettate dalla società e con «il destino femminile», che non permettono loro di coltivare inclinazioni e talenti.
Tuttavia, non si tratta di un elenco esaustivo.
Le associazioni femministe creano centri antiviolenza, difendono le donne in tribunale o, aiutano nella ricerca di un rifugio, educano sulle tematiche della violenza di genere, sviluppano e fanno approvare progetti di legge. Dietro la creazione di ciascuna di queste associazioni c’è una donna forte che affronta molte difficoltà sul lavoro.
Gli strumenti più potenti per promuovere le idee femministe rimangono l’arte e la letteratura. Artiste, esperte d’arte, critiche e registe creano progetti che coinvolgono anche le questioni di genere, come ad esempio, i problemi di disuguaglianza e violenza. Tra queste la regista teatrale Vika Privalova, le artiste Leda Garina, Varvara Grankova, Mika Plutickaja, le critiche d’arte Nadežda Plungjan, Lelja Nordik; l’artista e attivista per i diritti delle donne con disabilità Alena Levina; la curatrice dei festival musicali femministi Tanja Volkova; la poetessa e creatrice di zine di poesia femminista Oksana Vasjakina; la creatrice di progetti educativi dedicati alla critica del sessismo nei testi letterari, Saša Šadrina, e molte altre.
I dati della ricerca del Centro analisi NAFI, con il sostegno del Consiglio del Forum delle donne eurasiatiche e di Google, mostrano quanto sia lontana la parità: il 71% dei russi ritiene che lo scopo principale della donna sia quello di essere una madre e una buona donna di casa, e la stragrande maggioranza delle donne (89%) afferma che dovrebbe essere l’uomo a guadagnare. Nella maggior parte dei casi (83%), le persone considerate di successo sono uomini e solo nel 17% dei casi, donne. Il predominio maschile è particolarmente pronunciato in politica (con solo il 4% di nomi femminili) e negli affari (1%).
In Russia, il femminismo e il matriarcato fanno fatica a mettere radici e l’opinione che «il femminismo sia la sorte delle donne brutte» proviene spesso dalle labbra delle donne.
Eppure, il femminismo sta diffondendo la sua influenza su un numero crescente di nuove aree della vita e della conoscenza, aprendo e inventando nuove prospettive, concetti e approcci.
Questo articolo è stato tradotto dalla redazione di Russia In Translation (Olga Maerna, Giulia Pinta, Giulia Cori, Ambra Minacapilli, Martina Fattore e Marcello De Giorgi). Potete trovare la versione originale qui.
Se vi siete persǝ la prima parte, la potete trovare qui.