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STORIA DEL FEMMINISMO IN RUSSIA – prima parte

La nascita dei primi movimenti femministi in Russia a partire dal periodo precedente la costituzione del governo bolscevico fino agli anni ’30.

«Create una legge per le donne!»

«Il progresso dell’umanità consiste nell’eliminazione di tutto ciò che rende dipendente e subordinato un uomo da un altro, una classe dall’altra, un sesso dall’altro. Nessuna disuguaglianza può essere giustificata, se non quella creata dalla natura nelle differenze tra i singoli individui.»

Aleksandra Kollontaj

In Russia, la questione femminile fu sollevata seriamente per la prima volta nell’articolo dello scrittore, poeta e critico letterario M.L. Michailov: Ženščiny, ich vocpitanie i značenie v cem’e i obščestve (Le donne, la loro educazione e il loro significato nella famiglia e nella società), pubblicato sulla rivista Sobesednik nel 1852.

Le idee sull’uguaglianza tra uomini e donne vennero diffuse attivamente dai pubblicisti più noti: Dobroljubov, Pisarev, Herzen. Černyševskij, profeta della nuova generazione, celebrava la donna come una creatura che richiedeva il rispetto, le cure e la delicatezza dell’uomo.

Nel XIX secolo le donne russe non possedevano un documento d’identità, i loro dati venivano stampati sul documento del padre o su quello del marito. Così, per poter lasciare la propria casa e ricevere un’istruzione, ricorrevano a matrimoni fittizi. I casi di Sof’ja Kovalevskaja ed Elena Blavatskaja ne sono un chiaro esempio (la prima finì per sposarsi davvero).

Le prime militanti del movimento femminista in Russia appartenevano al ceto medio-alto. A loro veniva data la possibilità di impegnarsi in opere di beneficenza, così come in lavori culturali, educativi e di impatto sociale.

La lotta attiva iniziò insieme alle riforme e al movimento liberale degli anni Sessanta dell’Ottocento. Tra le principali rivendicazioni figuravano la concessione di pari diritti allo studio e al lavoro retribuito; i primi luoghi di lavoro che aprirono anche alle donne furono gli uffici, le biblioteche, le sale da lettura, le tipografie e le librerie.

Alexandra kollontaj, rivoluzionaria russa, teorica sociale, statista (1872-1952). (Foto di: Sovfoto/Universal Images Group via Getty Images)

Nel 1863 fu fondata la prima cooperativa editoriale femminile che si occupava di tradurre e pubblicare libri, e nello stesso anno uscì il romanzo di Černyševskij Čto delat’?” (Che fare?), che ne proponeva un modello organizzativo.

Nel 1865 V.A. Inostrostranceva inaugurò il primo laboratorio di rilegatura, mentre nel 1871 per la prima volta un’impresa femminile riuscì a ottenere, al prezzo di sforzi inimmaginabili, il contratto per cucire le forniture di divise dell’esercito. In seguito, i diritti delle donne sul lavoro aumentarono in modo costante, garantendo così una relativa libertà economica e ponendo le premesse della lotta per i diritti politici.

Dal 1858 le autorità iniziarono ad aprire scuole e istituti femminili per tutte le classi, soprattutto nelle province. Tuttavia, l’accesso ai gradi più alti dell’istruzione fu precluso alle donne fino al 1863, quando una nuova ordinanza permise loro di assistere alle lezioni, ma non di iscriversi all’università. Furono poi istituiti dei corsi per donne, il cui programma era equiparato a quello delle università. I più famosi divennero i corsi Bestužev, a San Pietroburgo, costituiti nel 1878.

Gli enti d’istruzione per le donne non ricevevano praticamente alcun finanziamento dal governo. Gran parte delle spese veniva pagata grazie alle donazioni raccolte dalle attiviste. In questo contesto, l’esperienza filantropica delle femministe, che avevano iniziato la propria attività prestando aiuto ai poveri, si rivelò molto utile. Le principali benefattrici erano in realtà le donne stesse, ma contribuirono anche alcuni studiosi, molti dei quali erano i loro insegnanti. Dal momento che la loro presenza non era molto gradita ai datori di lavoro in altri campi, la maggior parte delle studentesse dei corsi Bestužev proseguiva la propria carriera nel mondo dell’insegnamento o nelle istituzioni educative.

Eppure, tra loro emersero delle figure di spicco: E.V. Solomko, la prima donna in Russia a diventare petrografa e paleontologa; M.B. Sirjackaja, teorica nel campo della pedagogia applicata; J.I. Andrusova, la prima zoologa in Russia a specializzarsi nello studio degli invertebrati; V.E. Bogdanovskaja, una delle prime chimiche; M.V. Žilova, la prima donna a lavorare presso l’osservatorio di Pulkovo.

N.P. Suslova, prima donna a conseguire la laurea in medicina.

Nel 1872 a Pietroburgo vennero aperti alle donne i primi corsi di alta medicina. Lo studio era molto pesante e molte di loro non riuscivano fisicamente ad arrivare alla fine del percorso formativo: su novanta studentesse del primo gruppo, dodici morirono di malattia. La prima donna medico in Russia fu N.P. Suslova, mentre la prima a conseguire la laurea in Medicina fu V.A. Kaševarova-Rudneva (nel 1868 terminò gli studi all’Accademia di Medicina e Chirurgia, a cui era stata ammessa in via eccezionale).

All’inizio del nuovo secolo, l’organizzazione femminile più potente era la Russkoe ženskoe vzaimno-blagotvoritel’noe obščestvo (acronimo: RŽVBO, Società Filantropica Femminile Russa), che si occupava principalmente di fornire aiuto materiale, organizzare asili nido e doposcuola, e combattere contro l’alcolismo.

A.N. Šabanova rappresentava il vero volto del femminismo. Nobildonna e prima pediatra in Russia, si adoperò molto per la parità. Il suo scritto Očerk ženskogo dviženija v Rossii (Saggio sul movimento femminile in Russia) rappresenta uno dei documenti più interessanti dell’epoca. 

In Russia, il primo congresso femminile si svolse nel 1908 e vi presero parte 1053 delegate provenienti da tutto il Paese. La ricerca dei fondi per organizzare l’evento fu portata avanti dalle stesse donne: la maggior parte delle partecipanti proveniva infatti dall’intellighenzia. Nel corso di accese discussioni vennero adottate più di venti risoluzioni riguardanti l’assicurazione delle donne lavoratrici, la tutela della maternità e dell’infanzia, la modifica della legislazione matrimoniale e dei diritti politici. E nel 1917, grazie agli sforzi di Šabanova, fu approvata la Costituzione dell’Unione Femminile Nazionale. In altre parole, per la prima volta era stata ufficialmente riconosciuta a livello nazionale un’organizzazione femminista in Russia.

Come risultato della Prima guerra mondiale, il numero delle lavoratrici aumentò drasticamente. Nel 1912 comparvero infatti le prime pilote e i corsi di guida furono aperti anche alle donne nel 1915.

Nella sua breve esistenza, il Governo Provvisorio non soltanto donò il diritto di voto a chiunque in possesso di cittadinanza che avesse compiuto i venti anni di età (senza distinzione di genere, nazionalità e religione), ma consentì anche alle donne di lavorare come avvocate e giudici e di avere parità di retribuzione.

Pertanto, il movimento femminista e le sue importanti conquiste esistevano ben prima della creazione dell’Unione Sovietica.

Se nella prima fase gli interessi del movimento femminile e del governo sovietico coincisero, in seguito si manifestarono delle divergenze: l’attivismo delle donne era possibile solo secondo le indicazioni stabilite dallo stato. Il governo sovietico si attribuì così il merito di aver concesso loro la pienezza dei diritti civili. E, sebbene le idee sull’uguaglianza delle donne fossero condivise e sostenute, in particolare, da Sverdlov, Trockij e Kujbyšev, tutte le organizzazioni femminili furono vietate dai decreti bolscevichi all’inizio del 1918.

Nel 1917, all’interno del governo bolscevico venne eletta la prima ministra al mondo, Aleksandra Michajlovna Kollontaj, incaricata di occuparsi delle questioni sociali. Kollontaj non fu solo una rivoluzionaria, una ministra e la prima ambasciatrice donna, ma fu anche un’autrice che con la sua prosa  espresse le proprie idee sul futuro ordine mondiale e sulle relazioni tra i sessi. I romanzi brevi Bol’šaja ljubov (Un grande amore) e Vasilisa Malygina (edito in Italia con il titolo Vassilissa), il racconto Ljubov’ trech pokolenij (L’amore di tre generazioni) e altri lavori, mostravano come le donne fossero riuscite a liberarsi delle catene familiari e sentimentali, ottenendo finalmente la libertà per la lotta di classe.

Grazie agli sforzi di Aleksandra Michajlovna, nel dicembre 1917 furono adottati due decreti molto importanti. Uno riguardava il matrimonio civile, che andava a sostituire quello religioso, nel quale venne riconosciuta l’uguaglianza dei coniugi ed eguagliati i diritti dei figli e delle figlie legittimə e illegittimə. Il secondo semplificava invece la procedura di divorzio, che ora poteva essere facilmente ottenuta da entrambi i coniugi. Queste leggi si dimostravano più progressiste rispetto a quelle della maggior parte dei Paesi europei.

Nel 1920, la Repubblica Socialista Sovietica divenne il primo paese al mondo a legalizzare l’aborto. Le procedure per il riconoscimento della paternità e il divorzio furono inoltre semplificate e iniziò a essere perseguita una politica di aiuto e di sostegno sociale per le madri lavoratrici: si costruirono asili nido e doposcuola, si garantirono pause i per l’allattamento in spazi predisposti all’interno delle aziende, e assegni familiari.

Le attiviste del movimento femminista degli anni ’20, Armand, Krupskaja, Samojlova, Smidovič, Kollontaj, nelle loro pubblicazioni assicuravano alle donne che lo stato socialista le avrebbe sempre sostenute, indipendentemente dalla presenza o meno di legami matrimoniali. La maternità era definita come un «dovere socialista» che doveva aggiungersi al privilegio delle donne di lavorare su un piano di parità con gli uomini.

Strumenti importanti per l’emancipazione divennero le delegazioni e le associazioni femminili, organizzate dalla stessa Kollontaj, volte a garantire l’emancipazione lavorativa delle donne e il loro coinvolgimento nella produzione e nella costruzione dello Stato comunista.

Nel 1930 Stalin decretò la questione femminile risolta, abolendo i dipartimenti femminili. La politica di emancipazione fu significativamente ridimensionata: il governo inasprì la legislazione matrimoniale, l’aborto venne vietato e si tornò verso un modello di famiglia tradizionale.

Nel 1935 in URSS fu fermata la produzione di contraccettivi. Nel 1936 fu introdotta una legge volta a rendere più difficile la procedura di divorzio: dopo otto anni, il divorzio fu reso possibile solo passando dal tribunale. Chi divorziava doveva farsi apporre un contrassegno sul passaporto, che andava a sommarsi alle spese processuali: si partiva dai 50 rubli per il primo divorzio, per arrivare ai 300 del terzo. Sempre nel ‘36 fu vietato l’aborto (quello per ragioni mediche rimase tuttavia in vigore), fatto che decretò una vera e propria sconfitta nella battaglia per i diritti riproduttivi delle donne.

Questo articolo è stato tradotto dalla redazione di Russia In Translation (Olga Maerna, Giulia Pinta, Giulia Cori, Ambra Minacapilli, Martina Fattore e Marcello De Giorgi). Potete trovare la versione originale qui.

Potete trovare la prima parte qui.

Traduzione a cura di: <a href="https://www.ilfemminismotradotto.it/author/admin/" target="_self">Il Femminismo Tradotto</a>

Traduzione a cura di: Il Femminismo Tradotto

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