Scioperiamo oggi, sciopereremo domani!
La necessità di riconoscere e garantire i diritti lavorativi di chi fa consegne per le piattaforme online

L’organizzazione sindacale è l’unica strada, lo diciamo con convinzione. Una convinzione radicata nelle nostre esperienze personali e collettive. Sono proprio queste esperienze di lotta e di ricerca sui diritti del lavoro sulle piattaforme digitali che ci hanno fatte incontrare. Scriviamo da luoghi differenti, consapevoli della nostra diversità, ma accomunate da letture e pensieri simili. Siamo donne combattive. Noi (Yuly e Carolina) siamo state e siamo rider, e abbiamo vissuto la precarizzazione delle app sulla nostra pelle. Kruskaya, invece, partecipa a questa lotta attraverso la ricerca e l’attivismo, attraverso il sostegno, la solidarietà e la lealtà. La nostra complicità viene dall’azione nelle strade, dai nostri viaggi in moto, dalle alleanze e solidarietà internazionali, dalle difficoltà quotidiane a casa con la famiglia, dalla rabbia e dall’indignazione nei confronti di multinazionali machiavelliche e dai nostri progetti comuni. Questo testo a sei mani è un tentativo di continuare a intessere le nostre diversità in maniera orizzontale, a partire dagli affetti.
Dopo così tanti scioperi nazionali e internazionali dei e delle rider, perché è importante continuare a parlarne? Perché anche se abbiamo provato di tutto, le condizioni di vita e di lavoro all’interno di queste app non sono migliorate. È come se fossimo invisibili, come se fossimo solo delle macchine. La realtà è che le condizioni di lavoro offerte da queste app sono sempre più precarie.
Tra le altre cose, continuiamo a denunciare il controllo algoritmico, la gestione non trasparente delle informazioni, l’evasione dalle responsabilità e dai rapporti di lavoro, i meccanismi tecnico-legali che si instaurano, la violenza strutturale, il blocco delle libertà sindacali e le abissali asimmetrie di potere tra chi lavora e le imprese.
Inoltre, convochiamo gli scioperi e ne parliamo anche perché è urgente ridare significato alla lotta, introducendo una prospettiva di genere, di classe, di nazionalità e di mobilità umana. Per noi è anche urgente pensare a questi movimenti in chiave femminista. Perché sono le donne a sostenere questa lotta, a partire dai processi organizzativi fino al lavoro non retribuito in casa. Non è cosa da poco che in Ecuador e in Colombia siamo noi, Yuly e Carolina, a guidare le organizzazioni di rider, così come le azioni di dialogo con lo stato e i sindacati. Siamo noi a essere in prima linea in ogni azione, con coraggio e senza paura.
Durante lo sciopero dei rider e delle rider di Quito, il 31 maggio 2021, in più di 150 si sono mobilitatə per le strade della città in una carovana colorata, rumorosa ed euforica. Uno sciopero di chi lavora per tre app: Rappi, Uber Eats e PedidosYa (ex Glovo), dove si sono incontrati diversi gruppi di rider provenienti da ogni angolo della città.
Quali erano le rivendicazioni di chi scioperava? Le app partono dalla stessa premessa: triangolare i rapporti di lavoro pur non riconoscendolo. Tuttavia, ognuna ha le sue particolarità. Poiché si trattava di uno sciopero di chi lavora per queste tre app, c’erano richieste specifiche per ciascuna di esse. Vale la pena ricordare che lə fattorinə in tutte le app sono pagatə per ogni ordine che consegnano, in base al chilometraggio: ogni chilometro percorso ha una tariffa. Tuttavia, nel caso dell’app PedidoYa, il chilometraggio non viene più conteggiato sulla base del percorso GPS di Google Maps, ma utilizzando un sistema chiamato calcolo di Manhattan. Questo nuovo metodo si basa sul tracciamento di una linea retta tra il punto A e il punto B, cioè un chilometraggio inferiore a quello reale. Non si tiene conto della topografia della città, dei sensi di marcia delle strade o dei segnali stradali. Questa è una delle prime rivendicazioni di chi effettua le consegne per quest’app: che ci sia un conteggio equo dei viaggi e quindi dei pagamenti. Un’altra richiesta è il riconoscimento monetario anche quando un ordine viene cancellato e, dunque, che vengano pagati il tempo impiegato e i viaggi già fatti. Inoltre, la sicurezza è un problema che ogni rider deve affrontare, ci sono continue rapine e ordini fantasma, quindi chi lavora per PedidosYa chiede con urgenza di delimitare le zone di consegna, tenendo conto della sicurezza.

Per lə rider di Rappi, la questione dell’assistenza è un tema urgente. Non hanno soluzioni rapide quando lavorano e sono solə, perché quando contattano l’assistenza dell’app non ricevono risposta. Per di più non esistono degli uffici fisici dell’applicazione, quindi si trovano in una situazione estremamente vulnerabile quando si tratta di risolvere degli inconvenienti, fare reclami o rivendicare i propri diritti. Ma la situazione è ancora peggiore, poiché ricevono sempre pagamenti in ritardo. In altre parole, non hanno il sostegno per svolgere il loro lavoro, lavorano senza poter contare su uno stipendio puntuale, e questa attività è la loro unica fonte di sostentamento. Un collega in sciopero ci ha detto «non mi pagano da tre settimane e non mi dicono quando lo faranno. Io vivo di questo. Io e la mia famiglia viviamo di questo».
Chi fa le consegne per UberEats chiede un adeguamento delle tariffe, dato che c’è stato un calo significativo delle stesse. Infatti, in tutte le applicazioni la paga si riduce sempre di più. Come dice un collega «è inaudito che paghino ordini 70 centesimi o meno». Inoltre, le app usano punizioni, molestie, occultamento di informazioni e sanzioni. Negano un rapporto di subordinazione, ma chiudono e bloccano arbitrariamente gli account dei rider e delle rider senza fornire spiegazioni. Lə rider di Uber Eats esigono trasparenza e la fine di queste dinamiche di controllo.
Anche se la lista delle richieste continua e le violazioni aumentano, una questione che ultimamente causa preoccupazione è la nuova regolazione dell’Autorità dei Trasporti sul divieto per una moto di superare un’automobile. Questo tema è causa di allarme, poiché le applicazioni non ne terranno conto e continueranno a esigere la consegna degli ordini nel minor tempo possibile. Come si diceva nelle chat prima dello sciopero, «questo ci danneggerà, perché tutte le app gestiscono il tempo e, se i clienti già si lamentavano che per avere il loro ordine ci volevano 15 minuti, figuriamoci ora che ce ne vorranno da 30 a 45».
Tuttavia, queste richieste non mettono in discussione l’organizzazione, la necessità di sindacalizzazione, o la denuncia della precarietà. Per noi queste sono tematiche urgenti: smascherare il sistema capitalista di disuguaglianza che cerca nuove forme di espropriazione e sfruttamento. Sappiamo che la lotta più grande è quella per i diritti umani, per un lavoro dignitoso per i colleghi e le colleghe in Ecuador, Colombia e in tutta l’Abya Yala (letteralmente «Terra in piena maturità» – termine che alcunə nativə del continente preferiscono usare al posto di America Latina).
Invitiamo chiunque lavori per le piattaforme online a organizzarsi, affinché non abbiano paura di rivendicare i propri diritti, perché non lascino che si manchi loro di rispetto, per non farsi sfruttare e per non auto-sfruttarsi per poter soddisfare i propri bisogni primari: un tetto sopra la testa, un pasto nel piatto e la cura personale. Il diritto al lavoro è un diritto fondamentale, eppure le imprese delle piattaforme digitali approfittano di chi ha bisogno di lavorare, espandendo i loro mercati in paesi dove non ci sono leggi che le regolino o enti che le controllino. Inoltre, queste applicazioni sono sostenute dal lavoro migrante e razzializzato. È necessario rendere visibile la divisione internazionale del lavoro, per genere e per etnia, all’interno di queste imprese, dove chi viene pagato di meno sono le persone del Sud del mondo, come noi. Tutto ciò crea una catena internazionale di depredazione coloniale, capitalista e patriarcale.
Oggi in Spagna chiunque lavori come rider è riconosciuto come un lavoratore o una lavoratrice. È stata una lotta che è durata più di quattro anni, durante i quali sono state intentate trentadue cause e sono state depositate delle sentenze al riguardo, fatti che evidenziano l’esistenza di subordinazione e dunque l’effettivo rapporto di lavoro. Molte persone pensano che, una volta regolamentate le app, riceveranno un salario minimo, ma questo non è vero. Riceveranno lo stipendio base e ciò che guadagneranno con le consegne effettuate. Attualmente queste aziende non ci garantiscono diritti, ci costringono a fare pubblicità per loro, per la quale non pagano né noi né lo Stato, e camuffano la loro attività commerciale per evadere le tasse. In altre parole, violano diritti costituzionali e umani.
Di fronte a ciò alziamo la voce, per cercare di restituire l’umanità a ogni rider. Dietro ogni lavoratore e lavoratrice della piattaforma digitale c’è una famiglia che dipende da loro. Ci chiamano eroi ed eroine, ma in realtà noi rider siamo schiavə delle aziende multimilionarie, che non sono in grado di fornire elementi basilari di biosicurezza a chi ci mette la faccia e porta loro enormi profitti. Aziende in cui le colleghe subiscono quotidianamente molestie sessuali. Dove per il fatto di essere donna ti prendono di mira e ti guardano dall’alto in basso come se fossi un’aliena. Dove se sei donna e migrante vieni esposta a maggiore violenza.
Facciamo appello alla società: se vedete unə rider per strada, cedete il passo, mostrate gentilezza, cordialità, educazione, amorevolezza e rispetto. Stanno lavorando, e nell’ordine che stanno consegnando ripongono la propria vita e quella della loro famiglia, che lə aspetta a casa. Se ordinate qualcosa, trattate la persona che ve la consegna con pazienza, dignità e rispetto.
Lo sciopero del 31 maggio 2021 è terminato con la consegna di una petizione all’ufficio del presidente della Repubblica. La petizione chiede un tavolo di dialogo per la regolamentazione delle imprese di piattaforme digitali e che il lavoro di rider sia incluso nella riforma del lavoro. Vogliamo che il governo si renda conto del precariato che ci impongono queste applicazioni, e che si impegni a regolamentarle e a garantire i diritti lavorativi. Perché ci sono dei diritti che lo Stato ha la responsabilità di fare rispettare.
L’organizzazione sindacale è l’unica strada, lo diciamo con convinzione. L’unione fa la forza e continueremo a scioperare finché i diritti di chi lavora non siano garantiti. Non ci fermeremo finché non avremo raggiunto questo obiettivo.
Questo articolo è stato tratto da Revista Amazonas ed è stato scritto da Yuly Ramirez, Carolina Hevia e Kruskaya Hidalgo. Potete leggere l’articolo in spagnolo qui.