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L’olocausto dimenticato dei triangoli rosa

TW: linguaggio omofobo

Oltre allo sterminio di sei milioni di ebrei, l’Olocausto ha visto i nazisti perseguitare altre cinque milioni di vittime nel tentativo ti spazzare via intere comunità dalla Germania e non solo. Questi gruppi includevano polacchi, sovietici, rom, prigionieri politici, disabili, criminali, testimoni di Geova e omosessuali. Così come per le altre comunità, i gay -e per certi versi anche le lesbiche- erano percepiti come un pericolo per il “popolo tedesco”. Ad oggi, molte di queste vittime non hanno ricevuto l’attenzione che meritano. 

Infatti, a causa degli scarsi fondi per la ricerca, dell’alto tasso di mortalità e dello stigma, queste vittime sono spesso dimenticate dal resto del mondo. Anziché universalizzare le testimonianze di gruppi differenti, come tendono a fare gli studi sull’Olocausto, è essenziale far luce sulle esperienze più specifiche di questa storia complessa. 

La realtà LGBTQ+ nella Repubblica di Weimar

Nella Repubblica di Weimar, tra gli anni ’20 e all’inizio degli anni ’30, era presente l’equivalente di quella che oggi chiameremmo una vivace scena LGBTQ+.  Si contavano più di un centinaio di gay bar, canzoni, film, e il Magnus Hirschfeld Institut für Sexualwissenschaft (Istituto privato di ricerca sessuologica) ospitava al suo interno libri e riviste riguardanti temi come la sessualità e il genere. Nonostante il paragrafo 175 del codice penale tedesco, ovvero la legge contro la sodomia che criminalizzava l’omosessualità, la comunità LGBTQ+ era sì tenuta sotto controllo, ma non perseguitata. In aperto contrasto con questa legge, molti dottori e scienziati non consideravano l’omosessualità come qualcosa di “deviato”.

Le cose cambiarono con l’ascesa di Hitler al potere: il paragrafo 175 iniziò a essere applicato rigorosamente, le attività della comunità omosessuale furono bandite e lo Hirschfeld Institute fu saccheggiato di centinaia di volumi e riviste, che furono poi bruciate nel famoso rogo per le strade della Opernplatz. Inizialmente, i gay erano presi di mira solo se ebrei; alcuni nazisti erano convinti che, la maggior parte, se non tutti gli omosessuali fossero ebrei poiché molti attivisti lo erano (tra questi attivisti figuravano il fondatore dell’istituto Hirschfeld stesso, ma anche molti psichiatri, dottori, avvocati e giuristi progressisti). Dalla metà degli anni ’30, Heinrich Himmler prese il controllo delle leggi contro i gay e le potenziò: oltre 100.000 persone identificate come omosessuali furono arrestate e deportate nei campi di concentramento di Buchenwald, Dachau, Sachsenhausen, Mauthausen e Auschwitz. Si stima che a perdere la vita fu un numero compreso tra 5.000 e 15.000, circa il 55% del totale degli omosessuali detenuti; una percentuale molto più alta rispetto agli altri gruppi. 

Riguardo l’esperienza delle donne lesbiche di quel periodo si sa poco. Il paragrafo 175 non vietava esplicitamente il lesbismo, anche se molte vissero la loro sessualità in segreto e sposarono degli uomini. Le lesbiche deportate nei campi di concentramento non si trovavano lì a causa del loro orientamento sessuale, ma perché ebree e\o prigioniere politiche.

Le condizioni di vita degli omosessuali nei campi di concentramento

I nazisti utilizzavano dei simboli per distinguere i prigionieri e le prigioniere: agli omosessuali fu assegnato un triangolo rosa. Secondo testimonianze sia di persone etero che degli stessi gay presenti nei campi, questi ultimi venivano trattati peggio rispetto ad altri gruppi, con eccezione degli ebrei, perché considerati deviati. Erano costretti a lavorare più a lungo e più duramente in ogni condizione meteorologica, poiché molti nazisti credevano che il lavoro in condizioni difficili, come quelle delle miniere di ghiaia, delle cave di cemento e dei lavori di muratura, potesse convertire i gay in etero. Centinaia di uomini morirono a causa di queste condizioni lavorative. Come se non bastasse, molti venivano picchiati a morte non solo dalle guardie, ma anche dagli altri prigionieri che li riconoscevano grazie al triangolo rosa. Gli scienziati nazisti, inoltre, li castravano e li sottoponevano a esperimenti nel tentativo perverso di trovare una “cura” per il loro orientamento sessuale.

Nel campo di Sachsenhausen, la maggioranza dei prigionieri omosessuali era rinchiusa in “blocchi per froci”, e non poteva aver contatti con gli altri detenuti. In questi blocchi, i gay subivano una persecuzione violenta, che consisteva in insulti omofobi, percosse e sorveglianza da parte delle guardie. In un episodio risalente al 1941, cinque gay furono portati in bagno e affogati con dei tubi inseriti in gola.

La testimonianza di Heinz Heger, un gay di origine austriaca sopravvissuto allo sterminio, ci fornisce un punto di vista personale dell’esperienza omosessuale all’interno dei lager. Heinz arrivò a Sachsenhausen nel gennaio 1940, dove gli altri prigionieri, a loro volta considerati reietti della società, lo chiamavano “sporca checca e “175”, mentre si autodefinivano “i normali”, sottintendendo che Heinz non lo fosse. Ricorda che i gay erano obbligati a dormire con le mani sulle coperte e, qualora non lo facessero, venivano portarti fuori e colpiti con dei getti d’acqua. A causa di questo trattamento, molti si ammalavano e venivano trasferiti negli ospedali per essere sottoposti a esperimenti vari. Heinz lavorò al mattonificio del campo esterno di Klinkerwek, conosciuto come “la Auschwitz degli omosessuali”, dove subì durissime condizioni di lavoro e torture. Successivamente fu trasferito nel lager di Flossenbürg, per essere sottoposto a ulteriori tormenti.

Anche dopo la chiusura dei campi di concentramento, molti sopravvissuti gay non furono mai veramente liberi. L’omosessualità non fu decriminalizzata fino al 1967 nella Germania dell’Est e nel 1969 nella Germania dell’Ovest, per cui molti omosessuali finirono in carcere; molti ancora non riuscirono a  tornare dalle loro famiglie a causa della vergogna e dello stigma che il triangolo rosa evocava. E coloro che lo fecero, come Heinz Heger, furono relegati ai margini della società. Mentre gli ebrei, i bambini e i prigionieri politici ebbero supporto morale e finanziario dai governi tedeschi successivi, agli omosessuali furono negati, allo stesso modo la loro testimonianza non fu considerata una priorità né dagli storici dell’Olocausto né dai tribunali. Questa mancanza di considerazione portò i sopravvissuti a sviluppare un senso di colpa verso sé stessi per quanto era accaduto. 

Oggi c’è molta più consapevolezza sulle vittime della comunità LGBTQ+ durante la persecuzione nazista. La Giornata della memoria ricorda vittime e sopravissutə, si tengono commemorazioni in tutto il mondo, e moltə attivistə, soprattutto durante gli anni dell’epidemia di HIV/AIDS, si sono riappropriatə del triangolo rosa, indossandolo al contrario. Tuttavia, c’è ancora molto da fare.  La narrazione dell’Olocausto tende a generalizzare le esperienze all’interno dei campi di concentramento anziché sottolinearne la specificità per ogni singolo gruppo. Se la persecuzione dei gay in quel periodo storico può essere stata dimenticata dalla società, i crimini omofobi nel mondo sono all’ordine del giorno. Per quanto possa essere ancora sconosciuto, il triangolo rosa è un simbolo storico che non deve essere mai dimenticato.

L’articolo originale pubblicato su The Conversation è stato scritto da Mie Astrup Jenses, ricercatrice all’University College London (UCL) in studi di genere e sessualità e studi ebraici. In particolare, approfondisce le esperienze delle donne ebree lesbiche, bisessuali e queer che hanno vissuto e vivono in Inghilterra e Israele.

Traduzione a cura di: <a href="https://www.ilfemminismotradotto.it/author/clarice/" target="_self">Clarice Santucci</a>

Traduzione a cura di: Clarice Santucci

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