PuTTaNe ANARCHICHE
In Film d’amore e d’anarchia di Lina Wertmüller, la prostituta è l’unica in grado di sovvertire il regime autoritario.
«Quel maiale deve crepare!» dichiara Salomè con le lacrime agli occhi.
Il maiale? Mussolini.
Salomè? Una prostituta anarchica invischiata nell’organizzazione di un attentato al Duce.
Il bordello? Una sfera sub-pubblica nel cuore di Roma, dove le contraddizioni sociali causate dal capitalismo moderno raggiungono il loro apice.
Questo è il punto cruciale di Film d’amore e d’anarchia (1973) di Lina Wertmüller, una tragicommedia osé ambientata nell’Italia fascista prima della Seconda guerra mondiale. Il film si sviluppa attorno alla figura di Salomè, alle sue colleghe e compagne del bordello, e a Tunin, un contadino ingenuo deciso ad assassinare Mussolini; e interroga il torbido dualismo tra personale e politico, sesso e politica, vittima e carnefice, pubblico e privato, borghesia e proletariato. Quando Tunin arriva a Roma, si allea con Salomè, che ha una relazione con Spatoletti, il capo della sicurezza di Mussolini, dal quale cerca di carpire i dettagli relativi alle misure di sicurezza pianificate per una manifestazione imminente. È proprio durante questa manifestazione che Tunin vuole attentare alla vita di Mussolini, ma ben presto giungono delle complicazioni: Tunin incontra Tripolina, un’altra prostituta del bordello, e i due si innamorano. Il piano dell’assassinio viene sommerso da un’ondata di emozioni contrastanti, impegni e convinzioni, finché alla fine Salomè e Tripolina impediscono a Tunin di attentare alla vita di Mussolini. Ponendo le due donne al centro di un intrigo politico ed emotivo, Film d’amore e d’anarchia interroga le contraddizioni radicate nella figura della prostituta: Salomè, Tripolina e le altre donne nel bordello emergono, nelle parole di Esther Leslie, come «immagini dialettiche delle relazioni sociali».
Leslie esplora il ruolo centrale delle donne nella critica alla modernità capitalista fatta da Walter Benjamin nel suo I «passages» di Parigi. Che si tratti di lavoratrici, mogli, prostitute, acquirenti o manichini, le donne sono le protagoniste dell’analisi di Benjamin sulla mercificazione, sia come consumatrici che come merci. Attingendo all’opera poetica di Baudelaire, in cui si dipinge la Parigi del XIX secolo, Benjamin fa un’analisi del capitalismo di consumo che presenta una teoria della modernità in armonia con il ruolo delle donne e la politica di genere nei processi di modernizzazione. Il XIX secolo e i primi anni del XX secolo hanno visto emergere l’«ideologia delle sfere separate», secondo la quale la polarizzazione artificiale tra pubblico e privato è basata principalmente sulla stratificazione di genere, che vede le donne confinate nella sfera domestica e alienate dai processi storico-sociali. Tuttavia, questa divisione risultava netta solo per le donne, appartenenti al ceto borghese, in quanto la rapida industrializzazione portava molte donne delle classi operaie a essere sempre più coinvolte nella produzione dei beni di consumo e nel lavoro industriale, entrando così nella sfera pubblica attraverso il mercato del lavoro. Questo diede inizio a ciò che Leslie descrive come la «crisi delle relazioni sociali», in particolare per quanto riguarda le idee borghesi di genere e sessualità. La femminilità convenzionale e culturalmente intelligibile era minacciata dalle donne che effettuavano lavori considerati «mascolinizzanti» e, secondo Benjamin, questo ha raggiunto la sua forma estrema nella «fauna femminile delle gallerie commerciali». Una nuova «offerta di tipi femminili», rappresentata in particolare dalle prostitute, dalle operaie e dai manichini, convergeva in questo punto di snodo tra produzione dei beni e consumo (le gallerie commerciali), in cui ciascuna donna era soggetta a processi esasperati di mercificazione e oggettificazione.
Il tema della prostituzione pervade gli scritti di Benjamin, che lo approfondisce in modo enigmatico, un tipo di trattamento che è stato oggetto di critiche da parte delle teoriche femministe, per le quali l’autore affronta in modo superficiale la soggettività della prostituta, riducendola a un mero archetipo dell’oggettificazione. Leslie la pensa diversamente: ritiene che il leitmotiv della prostituzione in Benjamin sia una delle maggiori esplorazioni dialettiche del legame tra prostituzione e capitalismo. Come Marx, Benjamin vede in queste donne l’esemplificazione del progetto violento attuato dalla modernità capitalista, nel quale tutti i soggetti divengono oggetti così da consumare ed essere consumati a loro volta. Immagina le prostitute come «emissarie di un sistema di sfruttamento, reificazione, alienazione […] che sostituisce ogni persona in una realtà basata sulla produzione di beni di consumo». Come nella consustanziazione della trinità rappresentata dalla relazione tra capitalista/lavoratore-bene di consumo/consumatore, la prostituta diventa un’allegoria per lo sfruttamento capitalista. È curioso che pur essendo una vittima dello sfruttamento (così come tutti i lavoratori e le lavoratrici), è simultaneamente un’agente capace di esporre e annichilire le condizioni sociali dalle quali prende vita. Nella concezione di Benjamin, che vede la sessualità femminile come politicamente pericolosa, la prostituta pone la minaccia più grande. Nega il dogma tirannico della biologia e della natura, amato tanto dai fascisti quanto dai capitalisti, per cui la sessualità e il genere sono intrappolati nello schema dell’essenzialismo biologico. La prostituta, tradizionalmente incasellata come apolitica, come l’emblema del male sociale e come l’epitome della tirannia dei beni di consumo, emerge negli scritti femministi come qualcosa di ben diverso.
La preoccupazione dogmatica del fascismo per la politica dei corpi, in particolare in termini di genere, razza e classe, colloca la prostituta in una zona ambigua e paradossale. Durante il fascismo in Italia, le forze di governo hanno fatto di tutto per eliminare la separazione tra natura e cultura, cogliendo ogni occasione per naturalizzare il genere in modo da poter sfruttare le capacità riproduttive delle donne per la causa fascista e imperialista. Nel 1927, Mussolini lanciò una campagna pro-nascite, chiamata «battaglia demografica» con lo scopo di riportare le donne al loro ruolo di madri e casalinghe in modo da «perfezionare la razza». Per raggiungere questo obiettivo, le donne furono sottratte alla forza lavoro per tornare a casa con lo scopo di ripopolare l’Italia in seguito alle perdite subite nella Prima guerra mondiale. Il regime incoraggiò le donne italiane e le famiglie a procreare concedendo loro benefici, tagli fiscali e bonus matrimonio, una migliore assistenza sanitaria, un compenso monetario e il riconoscimento nazionale. Le donne che mettevano in discussione o rifiutavano le richieste della propaganda fascista erano una minaccia. Questo atteggiamento viene propriamente rappresentato dalla donna-crisi, una donna economicamente indipendente, descritta come «eccessivamente magra, dunque sterile […] [cosa che] presumibilmente confermava i suoi interessi cosmopoliti, non domestici, non materni e non fascisti».
La donna-crisi è una caricatura della donna moderna e nel film è incarnata dal personaggio di Salomè, una prostituta anarchica non interessata alla maternità e alla riproduzione. Lei è l’esatta rappresentazione della donna-crisi resa popolare dalla propaganda fascista: ha un corpo snello, un trucco teatrale, vestiti alla moda, capelli tinti e modi moderni e mondani. Il regime fascista utilizzò il pretesto della donna-crisi per aumentare la sorveglianza, la regolamentazione e il controllo sulle donne, in particolare coloro che non si conformavano alla femminilità egemonica voluta dal partito. Numerose prostitute vennero inserite nel registro delle «persone sovversive» dal governo fascista. Paradossalmente i bordelli venivano gestiti dallo Stato e acquistare il lavoro sessuale offerto da una prostituta con licenza era considerato «parte integrante della vita del virile uomo fascista». I bordelli erano un luogo di contraddizione per il regime, poiché erano sia una necessità sia una fonte di preoccupazione a causa del crescente numero di donne che intraprendevano la professione, abbandonando il loro ruolo nella «battaglia demografica» per motivi economici. Con una posizione centrale, le case chiuse divennero il punto focale dell’azione politica. In Film d’amore e d’anarchia, il bordello è frequentato sia da ufficiali fascisti che da rivoluzionari anti-fascisti. Beneficiando di ciò, le prostitute sono a conoscenza delle strategie politiche clandestine altrimenti inaccessibili alle donne. La relazione strategica di Salomè con Spatoletti e il complotto con Tunin sono possibili proprio grazie alla sua posizione all’interno della casa di tolleranza.
Come la prostituta, anche Lina Wertmüller è una contraddizione. La critica ha accusato i suoi film di essere reazionari, dogmatici, perversi, anti-femministi, politicamente e intellettualmente ipocriti. Ma tali affermazioni cadono a seguito di uno studio critico della sua opera, poiché non prendono in considerazione le sottigliezze con cui esplora il legame contraddittorio tra classe, identità nazionale, genere e sessualità, e in particolare come questi influenzano i rapporti interpersonali. Il suo mescolare stili diversi, lavorando tra parallelismi e paradossi, per presentare la parabola populista dell’antagonismo di classe, non è ideologicamente e visivamente incoerente, ma si tratta piuttosto di un’operazione sofisticata. Umorismo, ironia, parodia, farsa, realismo sociale e melodramma si fondono per creare film esilaranti seppur poetici e politicamente incisivi. Questo è il caso di Film d’amore e d’anarchia, dove non viene proposto un trattato femminista moralizzante sul lavoro sessuale, nel quale le prostitute non sono altro che vittime senza voce. Al contrario, Wertmüller colloca la prostituta nel contesto storico e sociale ed esamina la realtà. Discutendo della centralità della prostituta in Film d’amore e d’anarchia, la regista afferma:
Sebbene queste donne siano prostitute che vendono il loro corpo agli uomini per provvedere al proprio sostentamento, riescono a combattere politicamente contro la borghesia. Mariangela Melato [Salomè] è la mente politica di questo film. È combattuta, non è certa di poter sfruttare il ragazzotto di Giannini [Tunin], politicamente ingenuo, e portarlo a commettere l’atto politico, e si chiede se è veramente pronto per portare a termine questa azione e a subirne le conseguenze.
L’inserimento di Salomè e Tripolina nella sfera privata e politica è essenziale nella loro lotta antifascista, hanno entrambe una posizione unica nella modernità capitalista. L’arena pubblica del film non è una sfera urbana idealizzata in cui alcuni individui si riuniscono per minare l’organizzazione sociale gerarchica, ma si tratta di un contesto fortemente regolato da poteri fascisti. Questo è analizzato da Wertmüller in modo minuzioso: quasi per tutto il film, gli spazi pubblici vengono occupati esclusivamente da ufficiali fascisti, prostitute e dalla loro clientela. I luoghi storici di partecipazione pubblica come il Foro Romano e il Colle Capitolino sono reliquie abbandonate, la città non è altro che un parco giochi per gli agenti fascisti.
In Film d’amore e d’anarchia il bordello è l’unico spazio creativo, ibrido e sub-pubblico. È un luogo di relazioni tra lavoratorə e consumatorə che resiste al sistema e all’ideologia dell’Italia fascista, ed è il luogo dell’azione filmica. Il suo interno, un luogo di esibizione, spettacolo e artificio, è enigmatico e teatrale e fa da contraltare all’esterno scarsamente popolato di Roma, infestata dai monumenti fascisti e un’architettura razionalista, che segnala la gloria imperiale, la ragione e il passato vittorioso dell’Antica Roma. Il bordello e le sue performance abbondano di ironia e parodia, le prostitute sono sconce ed estreme, i loro costumi sono opulenti e alla moda, e il loro trucco è pesante. In un montaggio musicale, vediamo le donne del bordello incedere per il salone, nella speranza di attrarre dei clienti. Mentre suona La Petite Tonkinoise, ciascuna prostituta scende le scale ed entra nella stanza, facendo l’occhiolino agli uomini infatuati. Lo sguardo della macchina da presa di Wertmüller oggettifica i loro corpi: vengono suddivisi, ridotti in semplici sezioni, la loro sessualità trasformata in bene di consumo è in mostra sia per gli uomini che per il pubblico. Wertmüller taglia i loro volti e, a un certo punto, arriva a mostrarci solo dei petti nudi. L’estrema attenzione posta sulle loro perle e le varie decorazioni è una frammentazione voyeuristica che renderebbe orgogliosi i film classici di Hollywood. Ma il linguaggio visivo carnevalesco di Wertmüller è una parodia di questo bisogno e manipola lo spettatore affinché sia consapevole di tale voyeurismo. Mentre la macchina da presa si sposta tra gli sguardi lascivi stupiti dei vari uomini presenti e gli sguardi vivaci e calcolatori delle prostitute, Wertmüller attribuisce dinamismo, energia e immaginazione proprio a queste ultime. Sembrano godere della loro teatralità in contrasto con la libidine passiva degli uomini. Nella loro performance di vaudeville appaiono inizialmente come oggetti dello sguardo voyeuristico del pubblico, tuttavia col procedere della performance il pubblico riconosce loro energia e capacità attuativa. Anche se inizialmente complice degli uomini, il pubblico alla fine si identifica con la prostituta. Questa transizione è alienante in quanto costringe a una consapevolezza della propria posizione di spettatorə, come partecipante attivə di significato politico. Questa è la potenza di Wertmüller.
Wertmüller è attenta a non inquadrare le prostitute come archetipiche vittime o martiri. Piuttosto, confonde i confini tra il personale e il politico, ancorando ogni personaggio al momento storico-sociale nel quale la sua posizione politica viene a formarsi. Salomè vuole vendicare la morte del suo amante, Anteo Zamboni, linciato dalla folla dopo un attentato fallito a Mussolini nel 1926, un evento reale e una sorta di punto d’attracco storico che fa da contraltare allo stile intensamente visivo di Wertmüller. Nello stesso modo, le azioni di Tripolina per tutto il film sorgono dall’amore che prova per Tunin. All’inizio il suo personaggio è rappresentato come romantico, innocente e apolitico, in contrasto con Salomè, la testarda e astuta donna-crisi. Lei si posiziona al di fuori della storia e della politica, è in qualche modo più in armonia con la natura, è innocente e rappresenta l’ideale femminile. Grace Bullaro nota che Tripolina viene spesso ripresa in una stanza accogliente o in un’ambientazione naturale. All’interno del microcosmo del bordello, Tripolina e Salomè rappresentano il dualismo tra natura e cultura, tra pubblico e privato, così centrale nella modernità capitalista e nell’ideologia fascista. Wertmüller però sovverte questo schema: quando Tripolina si innamora di Tunin, si indurisce e si stanca del mondo. Più avanti nel film, discute con Salomè riguardo alla possibilità di svegliare Tunin perché compia la propria missione, dicendole, «non ci sta ideale, contrasto o ingiustizia perché nu povero giovane deve crepà come nu cane». Salomè controbatte che il sentimento è un lusso e cade tra le braccia di Tripolina. Alla fine, decidono di non svegliarlo. Quando Tunin scopre che il suo piano è stato sventato, dichiara di volersi suicidare. Nel caos che segue, gli ufficiali assaltano il bordello e il giovane viene catturato e ucciso. L’azione politica di Tunin, Tripolina e Salomè viene cancellata dalla storia, il tentato assassinio è relegato al lavoro di «un uomo non identificato in preda ad improvvisa crisi di follia» che poi «si [è tolto] la vita colpendo violentemente la testa contro il muro della cella». Il complesso legame tra l’impegno personale e quello politico che si sviluppa nel corso del film, l’(in)decisione politica di Salomè e Tripolina in relazione alle più ampie battaglie antifasciste e anarchiche, viene ridotto a un singolo atto di follia.
In Film d’amore e d’anarchia, Wertmüller rivela come coloro che vivono ai margini della società raramente vengano ricordatə dalla narrazione storica. La pellicola cerca di fare ammenda, concentrandosi sul microcosmo del bordello e sulle donne al suo interno ponendole al centro dell’azione politica. Anche se tale azione alla fine fallisce, sono Salomè e Tripolina a rappresentare le menti politiche del film, non Tunin. Proprio per il fatto di essere prostitute sono in grado di esporre e annichilire la condizione sociale che ha distrutto le azioni delle donne nella modernità capitalista.
L’articolo è stato pubblicato originariamente su Another Gaze e scritto da Lili Bullen-Smith. Potete trovare la versione originale qui.