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La Russia di Putin e la “Gayropa”

Capire l’ideologia anti-LGBTQIA+ per capire la guerra in Ucraina

Nel discorso di Vladimir Putin del 24 febbraio, in cui annunciava quella che sarebbe stata una vera e propria invasione russa dell’Ucraina (nel suo eufemismo orwelliano ufficiale, «un’operazione militare speciale» nella regione del Donbass), un intero paragrafo è stato dedicato al presunto indebolimento dei valori tradizionali messo in atto dall’Occidente:

«A dire il vero, i tentativi di usarci nel loro interesse non sono mai cessati nemmeno in tempi recenti; hanno cercato di distruggere i nostri valori tradizionali e di imporci i loro falsi valori che che corroderebbero dall’interno noi, il nostro popolo, gli atteggiamenti che hanno imposto in modo aggressivo nei loro paesi sono atteggiamenti che portano direttamente al degrado e alla degenerazione, perché contrari alla natura umana. Non permetteremo che questo accada; nessuno è mai riuscito a farlo, tantomeno nessuno ci riuscirà ora»

Queste parole suonano familiari a chiunque segua la politica e la società russa. Quando Putin è entrato in carica per il terzo mandato presidenziale nel 2012, sulla scia delle massicce proteste e del calo di popolarità, il suo governo ha abbracciato totalmente la missione di difesa dei valori tradizionali come ideologia ufficiale che guida sia la politica interna che quella estera. Sebbene si tratti di un concetto appositamente vago e spesso indefinito, i valori tradizionali comprenderebbero il patriottismo, la spiritualità, il radicamento nella storia, il rispetto per l’autorità e l’adesione agli ideali eteronormativi e patriarcali di famiglia e genere. Nella retorica del Cremlino e dei media fedeli allo stato, i diritti LGBT, il femminismo, il multiculturalismo e l’ateismo sono considerati non solo estranei ai valori della Russia, ma vere e proprie minacce esistenziali alla nazione.

Le femministe, siano esse attiviste nei movimenti di donne per la pace o ricercatrici nel campo accademico delle relazioni internazionali, sanno da tempo che le questioni di genere e sessualità sono al centro della sicurezza. La guerra è una questione di genere, non solo nel senso che le decisioni di andare in guerra sono prese in modo schiacciante da uomini e che quasi tutte le uccisioni e altre atrocità in tempo di guerra vengono compiute da corpi maschili. Le norme di genere e le disuguaglianze di genere determinano anche il modo in cui le persone vengono colpite dalla guerra, sia che si parli di uomini che non possono lasciare l’Ucraina, di donne incaricate di evacuare bambini e anziani, o di persone trans la cui mobilità può essere ostacolata da una discrepanza tra il loro genere e ciò che è dichiarato nel passaporto. Come ha sostenuto dalla politologa Iris Marion Young in The Logic of Masculinist Protection, le idee di mascolinità, femminilità, famiglia e sessualità corretta e impropria sono elementi vitali delle narrazioni su chi e cosa deve essere protetto, chi protegge e da chi . Attenendosi a questa sceneggiatura, i media russi fedeli al Cremlino fanno circolare filmati di donne e bambinə nel Donbass dove, si racconta, sono attaccatə dalle «forze naziste» ucraine e costrettə a fuggire in Russia.

Naturalmente, le questioni di genere non sono quasi mai in prima linea nell’analisi quando cadono bombe, arrivano carri armati e le persone vengono massacrate. Con il dispiegarsi della militarizzazione, l’establishment e le competenze maschiliste in materia di sicurezza nazionale tendono a essere privilegiate in quanto unico modo razionale e oggettivo per spiegare il mondo; altre prospettive, inclusa l’analisi femminista della sicurezza, sono liquidate come ingenue, idealistiche e fuori dal contatto con la realtà. Il discorso di Putin ci suggerisce, tuttavia, che l’invasione russa dell’Ucraina, e le sue politiche di sicurezza più in generale, non possono essere comprese separatamente dalle politiche di genere e sessualità. La realtà è che il Cremlino ha costruito una disastrosa ideologia dell’omofobia come geopolitica, e nella retorica ufficiale russa la guerra in Ucraina è inquadrata come la continuazione di questa politica con altri mezzi.

Non è necessario scavare in profondità, o leggere tra le righe, per sostenere che la sicurezza nazionale nella Russia di Putin sia una questione di genere e sessualità. Il Cremlino stesso, ad esempio, definisce esplicitamente la sicurezza nazionale in termini di genere. La strategia federale di sicurezza nazionale, pubblicata nel luglio 2021, nelle sue 43 pagine fa almeno 20 riferimenti ai «valori tradizionali». Con il titolo Per il raggiungimento della sicurezza nazionale, il documento afferma che:

«Particolare attenzione è dedicata al sostegno della famiglia, della maternità, della paternità e dell’infanzia. […] l’educazione dei bambini e il loro sviluppo spirituale, morale, intellettuale e fisico […] Sono necessari tassi di natalità più elevati per aumentare la popolazione della Russia».

Abbracciando appieno la politica dei valori tradizionali durante i primi anni del 2010, il regime di Putin ha strumentalizzato una forma nazionalista e autoritaria di conservatorismo di genere che si era gradualmente rafforzata nella vita politica russa dalla fine degli anni ’90, promossa dalla Chiesa ortodossa, da intellettuali come Natalia Narochnitskaya e Aleksandr Dugin e da un numero sempre maggiore di politici dell’establishment. Poiché gli ideali tradizionali di famiglia e di genere sono diventati questioni di sopravvivenza nazionale, l’adesione all’etero- e alla cis-normatività è diventata condizione qualificante non solo di rispettabilità, ma di appartenenza nazionale. Masha Gessen scrive nel suo The Future Is History: How Totalitarianism Reclaimed Russia che le false accuse di pedofilia sono diventate un modo per demonizzare gli oppositori politici, e i movimenti LGBT, assieme alle femministe, hanno iniziato a fungere da capri espiatori. La legge del 2013 che vieta la «propaganda per rapporti sessuali non tradizionali» tra i minori, non solo ha limitato le possibilità di informare e parlare in pubblico di sessualità e questioni di genere – va notato che negli Stati Uniti si sta verificando qualcosa di simile -, ma ha anche indicato l’omosessualità come un pericolo per i bambini e per la società.

Da allora proseguono la venerazione legale dell’eterosessualità obbligatoria e la diffamazione delle persone queer e trans. Nel 2020 è stato aggiunto alla Costituzione il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Alla fine del 2021 un certo numero di organizzazioni LGBT, tra cui l’ONG Russian LGBT Network (il cui lavoro per evacuare le persone queer dalla Cecenia nel 2017 è stato documentato nel film uscito di recente Welcome to Chechnya), sono state aggiunte all’elenco federale degli agenti stranieri. Ma le organizzazioni LGBT non sono le uniche prese di mira: anche giornalistə e ricercatori e ricercatrici che mostrano un atteggiamento critico, politici e politiche dell’opposizione e attivistə per i diritti umani vengono perseguitatə, messə a tacere, incarceratə o uccisə da un regime sempre più autoritario. Allo stesso tempo, le persone queer e trans spesso affrontano forme specifiche e aggravate di esclusione e violenza, a causa delle ostilità sociali, della mancanza di reti familiari e della discriminazione nel trovare casao, nel lavoro e nell’assistenza sanitaria. Secondo una ricerca condotta da Alexander Kondakov e dal Center for Independent Sociological Research di San Pietroburgo, i crimini d’odio contro le persone LGBT sono aumentati in modo significativo dopo l’approvazione della legge sulla propaganda nel 2013.

Non è necessario scavare in profondità, o leggere tra le righe, per sostenere che la sicurezza nazionale nella Russia di Putin sia una questione di genere e sessualità.

La svolta della Russia verso i “valori tradizionali” ha anche dimensioni esterne, come indicato dal discorso di Putin alla vigilia della guerra. La narrazione secondo cui i diritti LGBT sono un’arma usata dall’Occidente per indebolire e destabilizzare la Russia è stata un’accusa ricorrente. In un discorso agli studenti e alle studentesse in Bielorussia nel 2018, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha parlato della necessità di proteggere i valori cristiani «dai valori omosessuali che vengono imposti […] volgarmente e apertamente». Secondo questa logica, il fatto che la NATO si espanda nei territori che la Russia considera parte della sua “sfera di influenza” e che i leader europei e americani parlino dei diritti degli omosessuali come di diritti umani universali sono due facce della stessa medaglia.

In questo modo, i valori tradizionali e la politica sessuale si legano alla geopolitica e, di fatto, allo status dell’Ucraina e di altri stati post-sovietici. Nel 2013 il quotidiano russo Izvestiya ha messo in guardia i suoi lettori e le sue lettrici sull’attivismo LGBT sponsorizzato dall’Occidente poiché, a detta loro, poteva innescare una «rivoluzione gay», rischiando di riportare la Russia nel caos sociale degli anni ’90. Questo va contestualizzato con i ripetuti avvertimenti di Putin su una possibile «rivoluzione colorata» in Russia, simile a quelle che avevano avuto luogo in Ucraina nel 2004 e nel 2005, e in Georgia nel 2003. Quando iniziarono le proteste di Maidan contro il presidente filorusso Viktor Yanukovich in Ucraina alla fine del 2013, il Komsomolskaya Pravda, considerato il più importante quotidiano russo, scrisse che le proteste erano organizzate congiuntamente da «nazionalisti, antisemiti, neonazisti e omosessuali». Comprendere questo legame esplicito tra sessualità, genere e confronto geopolitico è necessario per dare un senso alle dichiarazioni fatte dal patriarca Kirill, il leader della Chiesa ortodossa russa, che si è espresso a sostegno della guerra all’inizio di marzo 2022:

«Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass. Il Donbass ha fondamentalmente rifiutato di accettare i cosiddetti valori offerti da coloro che aspirano al potere mondiale. C’è una prova specifica di lealtà a questi poteri, un requisito per essere ammessi nel mondo felice del consumo eccessivo e della libertà apparente. Questo test è molto semplice e allo stesso tempo terrificante: il gay pride. La richiesta di organizzare un gay pride è una prova di lealtà a questo mondo potente, e sappiamo che se un popolo o un paese rifiutano questa prova, non sono considerati parte di quel mondo, sono considerati estranei ad esso […] Pertanto, ciò che sta accadendo oggi nelle relazioni internazionali non ha solo un significato politico. Si tratta di qualcosa di diverso e molto più importante della politica. Riguarda la salvezza umana, riguarda da che parte di Dio Salvatore finirà per schierarsi l’umanità.»

Guerra, aggressione e colonizzazione sono sostenute da quelle che il politologo Michael J. Shapiro chiama «cartografie violente», mappe morali immaginarie che raffigurano la patria come innocente e buona e i territori degli Altri come pericolosi, e quindi legittimi oggetti di violenza. Ogni ambiguità e complessità che non si adattano a questo modello manicheo devono essere ignorate, negate o costruite in maniera tale da risultare estranee. Nella visione geopolitica che il Cremlino ha del mondo, la Russia difende i valori tradizionali di fronte a un Occidente moralmente corrotto, indebolito dal liberalismo sessuale; in numerosi discorsi, Putin ha posizionato la Russia come leader internazionale nella difesa di questi valori. In questo modo, il conservatorismo di genere contribuisce a ritagliare un ruolo geopolitico significativo per la Russia in un ordine mondiale in cui i diritti LGBT sono diventati politica internazionale e sempre più definiti come una questione di civiltà e modernità; un indicatore di chi, nelle parole di Hillary Clinton nel suo discorso all’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, in occasione della Giornata dei diritti umani nel 2011, è «dalla parte giusta della storia e chi no.»

Guerra, aggressione e colonizzazione sono sostenute da quelle che il politologo Michael J. Shapiro chiama «cartografie violente», mappe morali immaginarie che raffigurano la patria come innocente e buona e i territori degli Altri come pericolosi, e quindi legittimi oggetti di violenza.

Il Cremlino e altri attori promuovono attivamente questa narrativa oltre i confini della Russia. La retorica dei valori tradizionali e la sua concomitante visione geopolitica del mondo circolano nei media russi fedeli al Cremlino e arrivano a chiunque parli russo nei paesi vicini. La storica Bethany Moreton ha sottolineato come nelle organizzazioni transnazionali che promuovono i valori della famiglia, quali il Congresso Mondiale delle Famiglie, gli oligarchi russi pro-Putin fraternizzino con evangelici statunitensi, organizzazioni cattoliche ultraconservatrici e parti della destra radicale europea, alla ricerca di strategie comuni per combattere l’«ideologia di genere», un termine generico di derisione usato per descrivere qualsiasi cosa, dall’aborto e dall’educazione sessuale nelle scuole ai diritti dei transessuali e al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nel frattempo, alle Nazioni Unite, la Russia ha collaborato con alcuni stati del mondo islamico e dell’Africa subsahariana e, più recentemente, con regimi populisti nazionalisti come Polonia e Brasile, per revocare i diritti sessuali e riproduttivi.

Questo non vuol dire che Putin sia un burattinaio che dirige gli attacchi ai diritti delle donne e alla comunità LGBT nel mondo, ma è innegabile che l’attuale regime russo abbia articolato una potente e influente contro-narrazione all’idea liberale che i diritti LGBT siano un elemento inevitabile della modernità. Questa narrazione è stata accolta favorevolmente da alcuni conservatori cristiani e figure di estrema destra in Occidente, che vedono nella Russia di Putin un baluardo contro la cultura woke e il politically correct.

Secondo Maria Brock, ricercatrice nel campo degli studi sui media, nella narrazione della Russia che difende i valori tradizionali contro l’indottrinamento di genere occidentale, la figura del bambino innocente ha una posizione chiave. Proteggere i bambini e le bambine russə, che incarnano il futuro della nazione, dagli omosessuali predatori e dall’ideologia LGBT dannosa è stato un argomento ricorrente, utilizzato per motivare sia la legge sulla propaganda gay del 2013 sia la legge “Dima Yakovlev” del 2013, che vietava ai cittadini statunitensi di adottare bambinə russə. Di recente, le persone trans e i loro diritti sono diventati il ​​simbolo forse più potente di come le idee progressiste sul genere mettano in pericolo i bambini. Ad esempio, i media pro-Cremlino hanno scritto che in Scandinavia sono stati introdotti bagni «per il terzo sesso». In un discorso al club Valdai nel 2021, Putin ha definito l’idea «che un ragazzo possa diventare una ragazza e viceversa» una «mostruosità» e un «crimine contro l’umanità». In un’intervista con il Financial Times nel 2019, chiaramente indirizzata a un pubblico internazionale, Putin ha dipinto un’immagine distopica dell’Europa, utilizzando tropi di genere e razzializzati, poiché ha affermato che l’idea liberale ha creato una società in cui ai bambini viene detto che «possono giocare a cinque o sei ruoli di genere» e che «i migranti possono uccidere, depredare e violentare impunemente».

Le parole di Putin fanno chiaramente eco ai movimenti conservatori e di estrema destra occidentali, ribadendo i loro tropi di bambini indottrinati dall’ideologia transgender e di uomini immigrati che violentano donne bianche: l’ex presidente degli Stati Uniti, dopotutto, ha lanciato la sua candidatura con la promessa di costruire un muro per tenere fuori gli «stupratori messicani» . Tuttavia, questa ovvia imitazione e prestito discorsivo non dovrebbe indurci a vedere l’autoritarismo e la geopolitica della Russia attraverso una lente di «guerre culturali» incentrata sugli Stati Uniti. In effetti, pur condividendo alcuni tropi di genere e di razza con i nazionalisti di destra in Europa e negli Stati Uniti, la narrazione della Russia che difende i valori tradizionali contro un Occidente degenerato ha antiche radici nella storia intellettuale russa.

Il mito secondo cui la Russia ha la missione divina di tenere viva la fiaccola della vera civiltà cristiana, dopo il tuffo dell’Occidente nel materialismo empio, nel secolarismo e nell’individualismo, risale almeno al XVI secolo con il concetto di «Mosca come Terza Roma» ed è prominente nelle opere di romanzieri dell’Ottocento, come Dostoevskij. Il contrasto tra un presunto Occidente senza Dio, atomistico, meccanicista e immorale e una Russia profondamente religiosa, comunitaria, spirituale e morale ha caratterizzato il pensiero slavofilo del XIX secolo ed è stato ripreso dagli scrittori nazionalisti religiosi tardo-sovietici e post-sovietici.

Molto è stato scritto sul nazionalismo russo e sulle sue complesse relazioni con l’Europa, nonché sulla forma di modernità rappresentata dall’Occidente. Un aspetto importante, con ripercussioni sulla politica sessuale, è la relazione ambivalente con l’imperialismo. Da un lato, la Russia ha perseguito una missione imperiale di civiltà contro popoli considerati culturalmente e razzialmente inferiori, come ad esempio nel Caucaso e nell’Asia centrale. Dall’altro, la Russia è storicamente percepita come sofferente sotto l’egemonia culturale, economica, militare ed epistemologica dell’Occidente. Questa peculiare identità da colonizzatore colonizzato, definita dalla studiosa decoloniale e femminista Madina Tlostanova come una narrazione da «impero subalterno», ha importanti ripercussioni sulla politica sessuale.

Secondo lo storico Dan Healey, i discorsi sul genere e sulla sessualità in Russia sono stati modellati da una «geografia tripartita della perversione» in cui la Russia è immaginata come uno spazio intermedio di moralità sessuale e innocenza, né parte dell’Occidente decadente né dell’Oriente primitivo. Tale mappatura morale influenzò la politica di genere conservatrice del regime di Stalin degli anni ’30, quando i comunisti reintrodussero il divieto di sodomia (che era stato revocato dopo la rivoluzione del 1917) e dipinsero esplicitamente l’omosessualità come una minaccia alla sicurezza sotto forma di clandestinità delle reti di omosessuali filo-hitleriani — Healey chiama la svolta conservatrice sotto Stalin la «nascita della moderna omofobia politica russa». In questo modo, la definizione della guerra di Putin e Kirill, in quanto legata alla coraggiosa resistenza della Russia alla promiscuità sessuale occidentale e all’indottrinamento di genere dei bambini, si basa su narrazioni ben consolidate, familiari alla maggior parte del popolo russo.

Per quanto importante sia questa genealogia storica, non c’è nulla di unicamente russo nell’immaginare l’identità collettiva, o la sicurezza nazionale, in termini di genere. Associare il nemico geopolitico alla perversione sessuale o di genere fa parte di un repertorio statale queer-fobico noto in molti contesti. Il panico gay negli Stati Uniti degli anni ’50, quando le accuse di omosessualità divennero una tattica diffamatoria nella crociata anticomunista di Joseph McCarthy e quando agli omosessuali venne impedito di prestare servizio nell’amministrazione federale poiché erano visti come potenziali spie sovietiche, ha evidenti somiglianze con il modo in cui i movimenti LGBT nella Russia odierna sono descritti come una quinta colonna piantata dall’Occidente. In diversi paesi dell’Africa subsahariana, inclusi Uganda e Zimbabwe, i leader politici e religiosi parlano di omosessualità e attivismo LGBT come pedine dei tentativi occidentali di ricolonizzare l’Africa. Un modello in qualche modo simile può essere notato nel recente regolamento del governo cinese che vieta alle «femminucce», riferendosi principalmente alle celebrità maschili ispirate alle tendenze della moda androgina sudcoreana e giapponese, di apparire in televisione e nei siti di streaming.

Creare allarmismo per la dissoluzione di genere, la femminilizzazione degli uomini e per la degenerazione sessuale e razziale, presentandoli come segni del decadimento di una nazione o di una civiltà deriva direttamente da un manuale nazionalista e fascista. In questi schemi ideologici, il ringiovanimento nazionale e il recupero della grandezza collettiva richiedono un ritorno a un’epoca mitica in cui gli uomini erano presumibilmente più virili e le donne più femminili, mentre le gerarchie etero-patriarcali bianche regnavano incontrastate. Il nazismo tedesco e il fascismo italiano celebravano entrambi la femminilità tradizionale e identificavano la forza nazionale con la virilità maschile. Allo stesso modo, i movimenti di estrema destra contemporanei in Europa e Nord America vedono l’indebolimento dell’autorità maschile nella famiglia e nella società, il femminismo, i diritti LGBT e il multiculturalismo come segni dell’estinzione dell’Occidente.

Le femministe hanno mostrato quanto l’espansione coloniale europea e il dominio imperiale fossero storicamente immaginati in termini sessualizzati, come penetrazione e sottomissione di popoli e di territori femminizzati, descritti con espressioni quali «terre vergini», «terra incognita» o «continenti oscuri». Nel discorso russo contemporaneo, specialmente nei commenti online, nella satira su Internet e nei meme diffusi sui social media, le metafore sessuali e di genere sulla guerra in Ucraina e le relazioni Russia-Occidente abbondano; l’Europa viene talvolta chiamata «Gayropa», a metà tra lo scherno e la serietà. I paragoni tra l’Ucraina e una prostituta che si vende alla NATO e ai leader occidentali sono un esempio di quanto i tropi femminili agiscano per privare l’altro del libero arbitrio e della capacità di autodeterminazione. Le immagini di Putin o di un orso russo che scopano la NATO o un leader occidentale maschio da dietro attingono sia al sessismo che all’omofobia per descrivere la guerra in Ucraina come una gara di mascolinità tra Russia e Occidente.

A un livello più generale, anche al di là della retorica apertamente aggressiva e imperialista, il genere e la sessualità sono elementi costitutivi importanti quando le nazioni definiscono un «noi» collettivo e identificano cosa proteggere e da chi. La geopoliticizzazione del genere in Russia è rispecchiata dai discorsi omonazionalisti e femonazionalisti in Occidente, quando i diritti delle persone gay e l’uguaglianza di genere sono descritti come prove di una superiorità nazionale rispetto agli altri, arretrati, siano essi immigrati musulmani o russi omofobi.

Nel mondo contemporaneo, l’identificazione di «estranei all’interno» che presumibilmente minacciano l’ordine di genere domestico, così come la promessa di salvare e riabilitare la moralità sessuale e la rispettabilità dalle forze di disintegrazione, sono diventate parte integrante di un kit di strumenti autoritari. Varianti di questa logica sono evidenti nei tentativi dei conservatori cristiani e dei nazionalisti di vietare «l’indottrinamento di genere» nelle scuole e nell’istruzione superiore in tutto l’Occidente, nel recente divieto ungherese di informazioni che promuovano l’omosessualità ai bambini e nei ripetuti attacchi del presidente brasiliano Jair Bolsonaro a femministe e sotenitori e sostenitrici LGBT.

Bisogna riconoscere che le conseguenze sono terribili e mortali. Queste non sono schermaglie innocue nelle guerre culturali del capitalismo in fase avanzata: sono gravi questioni di vita o di morte. Norme di genere — tropi di protezione maschile, donne e bambinə da salvare e devianza sessuale e di genere come minaccia per il corpo politico — alimentano e perpetuano l’autoritarismo, il militarismo e, come ora è reso fin troppo evidente dalla guerra della Russia all’Ucraina, aggressioni di stato. Senza affrontare i primi, c’è poca speranza di cambiare i secondi. Bisogna resistere al disinvolto rifiuto del nesso che esiste tra genere e sessualità e questioni militari e di sicurezza. I legami tra autoritarismo militarista e imposizione di genere e di sessualità sono già ben noti a chi difende i diritti delle donne, alle attiviste LGBT e ad altri gruppi che combattono per la democrazia e la giustizia sociale, sia in Russia che in Ucraina. Loro sono statə tra i primi bersagli della crociata dispotica per i valori tradizionali e ora sono in prima linea per protestare contro l’aggressione di Putin. La loro esperienza dovrebbe essere ampiamente riconosciuta e il loro lavoro sostenuto in ogni modo possibile.

L’articolo, disponibile in inglese qui, è stato scritto da Emil Edenborg, che insegna studi di genere all’università Di Stoccolma, e pubblicato sulla rivista americana Boston Review.

Traduzione a cura di: <a href="https://www.ilfemminismotradotto.it/author/clarice/" target="_self">Clarice Santucci</a>

Traduzione a cura di: Clarice Santucci

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