L’amore non esiste
Il discorso amoroso e i suoi miti hanno sempre avuto come scopo quello di creare un’ideologia dell’amore

Quando «io» dico le cose, «io» le faccio rientrare nel mondo degli esseri umani e così «io» disegno le nuove frontiere dei nostri immaginari. Prima che fosse inventato il concetto di nazione, al crepuscolo del XVII secolo, nessuno sarebbe potuto morire per un’entità così eterea. Certamente, si moriva per il clan, la famiglia, Dio, la città e un sacco di altri gruppi ai quali si sentiva di appartenere. Ma nessuno sarebbe morto per qualcosa di così vago come una nazione. Eppure, un bel giorno del 1914 si sono trovate 9,7 milioni di persone pronte a morire. Nello stesso modo può essere formulata una genealogia per ciò che riguarda il concetto d’amore. Qui parleremo del legame che unisce l’amore come concetto e come esperienza alla letteratura amorosa.
Già presso gli antichi greci si torva il concetto di amore erotico, ma per sapere ciò che è venuto prima le tracce sono molto rare. I sentimenti nella società greca vengono definiti un po’ più chiaramente in quanto si separa l’amore in almeno quattro concetti diversi e ad ognuno di questi viene dato un nome. Si distingue tra eros, l’amore romantico; agape, l’amore verso il prossimo; philia, l’amore per lǝ amicǝ e infine storge, l’amore per i propri genitori. Allo stesso titolo delle altre forme d’amore, eros è essenzialmente un’operazione linguistica. L’amore erotico è l’espressione generica per qualificare e canalizzare quello che succede quando una forte emozione di empatia verso un membro del proprio gruppo coincide con una pulsione sessuale. Quando si parla di amore erotico si prendono sempre in questione almeno queste due emozioni. È un modo di raccontare i nostri sentimenti per canalizzarli, affinché si pieghino alle necessità della riproduzione sociale.
Alla fin fine è solo di questo che si tratta quando si parla di eros. Il modo in cui la società si riproduce di generazione in generazione. È un discorso che permette di rendere desiderabile il matrimonio, istituzione che organizza la ripartizione delle Donne fra gli uomini. Parlare d’amore significa discutere di una parte delle idee che servono a giustificare l’appropriazione dei membri della classe femminile da parte di quella maschile. L’amore è il viso sorridente della dominazione maschile. Il desiderio sessuale e affettivo si piega relativamente poco alla rigidità del matrimonio. È presente una tensione fra la volubilità delle emozioni che comandano i desideri umani e le necessità matrimoniali, ed è il discorso amoroso che ha il compito di risolverla. Il discorso amoroso non è mai una descrizione reale del modo in cui la gente si occupa nella quotidianità della questione della riproduzione, ma produce le giustificazioni ideologiche di quella quotidianità. È un velo messo davanti alla realtà materiale del focolare. E quel velo è lì da quando per la prima volta in Mesopotamia si è sentito parlare di Ishtar, il lontano cugino di Eros. Produce un po’ di speranza e molte norme. Prescrivendo il modo in cui si deve amare in un determinato momento, si comanda un intero mondo. Infatti, sebbene ci siano numerose motivazioni alla base delle nostre azioni, essere amatǝ dalle altre persone sembra essere quella più frequente. L’importanza della coppia monogama all’interno degli scambi matrimoniali delle società cristiane, impone che questa volontà di essere amatǝ sia diretta verso un essere unico. Imponendo al pensiero di stare dentro una stretta cornice duale, si soffoca la dinamica dei desideri, a volte contraddittori, che ci attraversano. Si uccide la spontaneità dei rapporti umani e ci si condanna alla miseria affettiva per inseguire una chimera.
In uno dei primi testi scritti della storia dell’umanità di cui abbiamo conoscenza, l’epopea di Gilgamesh, si ritrovano tracce di storie erotico-affettive. I dati archeologici non sono sufficienti per poter affermare che il primo racconto scritto conosciuto contenga una storia d’amore nel senso in cui la intendiamo oggi, o almeno nel senso di quello che i Greci chiamavano Eros (cosa che farebbe di questo racconto sia la prima storia d’amore dell’umanità, sia la prima storia di un amore omosessuale). La lettura dell’opera mostra in ogni caso come da quell’epoca si sviluppi un interesse per il modo in cui gli esseri umani formano alleanze. La prima civiltà umana di cui conosciamo diversi testi lascia un ampio spazio all’amore sia che quest’ultimo funga da mero pretesto sia che, invece, costituisca la parte fondante della trama. Dalle numerose peripezie dell’abominevole Zeus fino alla guerra di Troia, le storie greche hanno tantissime cose da dire sull’amore. I Romani seguono le orme dei loro “cugini” e, sebbene l’umanità non sia molto loquace sull’argomento, bisogna constatare che il corpus sulla questione giunto fino a noi fa parte di uno dei generi più prolissi.
Oggi giorno l’industria culturale usa e abusa di questo trucchetto, sbattere lì una storia d’amore con la sua inevitabile scena di sesso è diventata la ricetta di qualsiasi sceneggiatura da due soldi di un cinema senza ispirazione. Se queste storie sono ovunque è perché ci appassionano. E se ci appassionano, è perché toccano un punto fondamentale: la riproduzione della specie. Non sono semplicemente delle belle storie che ci fanno sognare, ma sono dei veri e propri manuali che prescrivono come ci si debba voler bene. Rispondono alle domande che ci poniamo sui misteri insondabili della mente altrui. Rendono comprensibile il caos delle interazioni sociali. Ci dicono cosa dovremmo fare e cosa no. Il tabù è un oggetto del linguaggio, è nel linguaggio. Se ci sono dei tabù, significa che ci sono persone che potrebbero infrangerli. Se l’incesto è vietato, allora ecco che abbiamo Edipo che impazzisce e incontra il suo destino lungo il cammino. Tutto ciò che è tabù fa parte del mondo del possibile e rimane all’interno del mondo che si può dire e dunque concepire. Le storie sull’amore prescrivono il lecito e l’illecito, ma delimitano anche il reale. Tracciando un confine tra quello che si fa e quello che non si fa, cancellano qualsiasi pratica che si trovi fuori da questo linguaggio. Queste ultime, tuttavia, non cessano di esistere. Rimangono sempre là. Le troviamo nascoste nella coscienza umana, nel mondo di quello che non si può nominare. Ridotte a non essere mai davvero comprese da chi le prova, almeno finché non avranno saputo dare loro un nome.

Le storie d’amore che popolano i racconti dell’umanità costruiscono dei ritratti delle persone innamorate che corrispondono alle riflessioni dell’epoca sulle relazioni fra gli Esseri. Attraverso i loro protagonisti e le loro protagoniste dettano un modo di amare, sia che quest’ultimo venga valorizzato sia che venga condannato. Antigone non è solo il racconto dello scontro fra le leggi degli uomini e quelle degli dei, è anche un esempio di ciò che è lo storge (l’amore per i genitori) in ogni epoca in cui qualcunǝ reinventa Antigone. Oltre a essere una parabola sull’equilibrio fra legge e morale, è anche un esempio di come siamo in debito coi nostri genitori. È anche questa la forza del discorso amoroso, parla sia di come si organizza la società, sia della più profonda intimità. Ma che se ne parli molto non significa per forza che se ne dica molto. I nostri amori mitologici non sono mai concreti, il quotidiano è assente: non si parla di chi lava i calzini. Si tratta di limitarsi a far sognare. Produrre l’immagine di una vita ricca. Poiché l’amore brilla soprattutto per la sua intensità. Orfeo ama così tanto Euridice che arriva a impressionare anche il sinistro Ade. Il risultato lo conosciamo. È la morte dei due sposi che arriva a mettere fine all’amore. Non è un caso che così spesso sia proprio la morte la conclusione di questi racconti: potrebbe essere un pratico mezzo per salvare la morale e, allo stesso tempo, punire gli amori trasgressivi. D’altronde la surreale statua del Commendatore nel Don Giovanni non si prende neppure la briga di nascondere il suo ruolo di pilastro dell’ordine morale quando appare, alla fine della storia, per portare la nostra canaglia all’inferno. Ma si tratta anche di preservare il mito evitando di dilungarsi sulle deboli speranze che la maggior parte delle coppie di questi racconti ha di durare più di qualche mese. Lǝ innamoratǝ muoiono per salvare l’amore come ideologia.
Se questi personaggi ci parlano, è perché sono testimonianza di stati d’animo in cui ci possiamo trovare da un momento all’altro nelle nostre storie d’amore. Il discorso amoroso non ci parla a partire dal nulla, se traduce una visione dell’amore situata nel tempo e nello spazio, lo fa scegliendo di valorizzare le inclinazioni che derivano dalle nostre emozioni. Qui si valorizzerà il ritegno mentre là, invece, sarà proprio il furore a essere incoraggiato. Ogni volta, quindi, è di un certo nostro stato d’animo che ci parlano queste venerabili storie. Sono dei modi di approcciarsi all’amore che potrebbero forse essere i nostri. Anche se non sono la superba Penelope che attende il ritorno di Ulisse tessendo e disfacendo di continuo la tela, potrebbe esserci un po’ di lei in me quando respingo delle avances aspettando il ritorno di chi amo. Gramsci diceva che un’opera può considerarsi conclusa se riesce a esprimere delle passioni elementari. Poiché manipolare le passioni elementari è la definizione del discorso amoroso, si comprenderà facilmente come così tante figure di innamoratǝ abbiano potuto catturare la nostra attenzione così a lungo nel corso del tempo.
Questo articolo è stato scritto dal gruppo J. Bétine e pubblicato sulla rivista online Rebellyon. Potete leggere la versione originale in francese qui.