It’s britney, bitch
Il documentario Framing Britney Spears fa luce sui meccanismi e le conseguenze della narrazione tossica dei media nei confronti della pop star

Il documentario Framing Britney della serie The New York Times Presents è una testimonianza dell’ingiustizia inflitta alla pop star da parte dei media, responsabili di aver trasformato la sua immagine da sex symbol a fanciulla in pericolo. È importante sottolineare come la crudeltà dei media nei confronti di Britney Spears non sia un caso isolato, ma è parte di una cultura tossica della celebrità che ha mietuto molte vittime.
Dall’ipersessualizzazione a “madre degenere“
In una delle scene d’apertura, un presentatore adulto chiede a una Britney di dieci anni se avesse già il “fidanzatino”. Nelle interviste che si susseguono col progredire della sua carriera, Britney vede sbattersi in faccia domande sulla sua verginità, sul suo seno e su qualsiasi cosa gli uomini di turno si sentissero in diritto di chiederle. Il sessismo e la misoginia diventano lampanti quando l’attenzione mediatica si concentra esclusivamente sulla vita sessuale della pop star, sui matrimoni lampo, i divorzi e sul suo stile di vita “fuori controllo”. Il disagio della cantante nei confronti di domande troppo invadenti è palese, eppure sfacciatamente ignorato da coloro che la intervistavano anche quando lei ribadisce di non considerare la sua sex positivity come l’equivalente a essere un sex symbol.
In una ormai celebre intervista radiofonica, Justin Timberlake risponde con orgoglio: «Sì, l’ho fatto!» quando l’intervistatore gli chiede se avesse avuto rapporti sessuali con l’ormai ex fidanzata Britney Spears. Il cantante ha presentato delle scuse poco convincenti dopo le numerose critiche ricevute in seguito all’uscita del documentario e, inoltre, non ha mai ammesso la responsabilità di aver demonizzato l’ex attraverso la fantasia di vendetta maschile rappresentata nel videoclip di Cry me a river.

Subito dopo il matrimonio, Britney fu criticata per il modo in cui si sentiva a suo agio nel proprio corpo e per la libertà della sua espressione sessuale, il che può risultare ironico, ma non deve sorprendere se si pensa come essere una donna sposata che stava per diventare madre rappresentasse il modello della “Donna americana ideale”. Questa narrazione generò la dicotomia in cui l’immagine di Britney, che tempo prima era stata sessualizzata a tal punto da essere definita una “vamp in intimo”, ora veniva proposta come “madre degenere”.
La capitalizzazione della sofferenza di una donna da parte dei media
In quel periodo la privacy della cantante veniva invasa in continuazione. Quando al paparazzo Daniel Ramos, responsabile di averle scattato delle foto discutibili durante il suo esaurimento nervoso, viene chiesto il perché non l’avesse lasciata stare, lui risponde di non aver avuto indicazioni in tal senso da parte della pop star. A quel punto, l’intervistatrice gli domanda semplicemente: «E quando ti ha espressamente detto “Lasciami in pace”?».
La dura verità che Ramos e moltə altrə non hanno voluto ammettere è che i media stavano guadagnando sulla sofferenza della pop star a tal punto, che una sola foto poteva valere potenzialmente un milione di dollari. In una rara intervista rilasciata a una giornalista, Britney scoppia a piangere, rimarcando il fatto di non voler essere seguita dai paparazzi, specialmente nei momenti in cui era da sola con i suoi figli e si ritrovava circondata dai fotografi; una situazione pericolosa sotto tanti punti di vista, che la faceva sentire impotente.
«La dura verità che Ramos e moltə altrə non hanno voluto ammettere è che i media stavano guadagnando sulla sofferenza della pop star a tal punto, che una sola foto poteva valere potenzialmente un milione di dollari.»
Questo tipo di esposizione mediatica portò a una rappresentazione estremamente problematica, insensibile e invasiva dei suoi problemi mentali. La salute psicologica è una questione molto privata, ma nel caso di Britney divenne la barzelletta della sua vita. In un episodio “satirico” di South Park viene mostrata una caricatura della cantante che si spara, proprio nel periodo in cui la stampa pubblicava titoli come Bald and Broken (Pelata e a pezzi) e Meltdown (Crollo nervoso), rendendola l’oggetto di scherno per eccellenza. Nessunə comprese che la decisione di radersi la testa rappresentava un atto di resistenza politica, il simbolo di una Britney che voleva liberarsi della sua femminilità e dell’immagine che le veniva forzata addosso, e con cui lei non aveva più voglia di identificarsi.

L’infantilizzazione e la tutela legale
Quello che tuttə sembrano aver dimenticato della “Principessa del Pop”, è che si trattava di una donna in grado di mantenere savoir faire e grazia pur essendo sottoposta a uno stress lavorativo fortissimo. Aveva il pieno controllo della sua professione, della sua fama, del suo prestigio e del successo che si era meritata, eppure, tutto questo non le è stato riconosciuto.
La tutela legale è una misura prevista per le persone anziane e i soggetti con disabilità psico-sociali che non sono in grado di prendere decisioni in maniera autonoma. Britney fu sottoposta a tutela dietro richiesta del padre, Jamie Spears, che chiese di diventarne il tutore legale temporaneo in seguito al crollo psicologico pubblico avuto dalla figlia. Attraverso questo atto Britney Spears divenne essenzialmente soggetto debole di fronte alla legge. La cantante ha subìto un vero e proprio processo di infantilizzazione che l’ha ritratta come una donna vulnerabile e incapace di prendere decisioni. Il fatto che proprio Jamie sia stato nominato tutore legale legittima l’atteggiamento di protezionismo paternalistico della legge nei confronti delle donne. L’ex direttrice del marketing dell’etichetta discografica di Britney, che è stata per lei anche una figura materna quando era agli inizi, ricorda nel documentario le parole di Jamie in merito alle aspettative di carriera della figlia: «Mia figlia diventerà così ricca da comprarmi una barca».
Sono trascorsi più di dieci anni da quando Britney Spears è stata sottoposta a tutela legale, perdendo il controllo sulle sue finanze, sui propri affari e sulle relazioni personali. Nel frattempo, la pop star ha fatto richiesta per la rimozione del padre dalla tutela, che è stata però respinta dalla corte nel 2020. Intanto Jamie ha guadagnato un bel po’ di soldi, inclusa una parte del patrimonio della figlia. Nonostante Britney abbia dato prova di essere in grado di cavarsela da sola e continui a retribuire sia i propri avvocati che quelli del padre, quest’ultimo si rifiuta di abbandonare il ruolo di tutore. Negli anni in cui era sotto tutela legale, Britney ha prodotto un album numero uno nelle classifiche, vinto numerosi premi, fatto da giudice in un talent show e tenuto una serie di concerti di successo per quattro anni a Las Vegas. Di questo la corte misogina non ha minimamente tenuto conto, ha invece deciso di rincarare la dose, decretando un ulteriore vittoria per il patriarcato.
«La cantante ha subìto un vero e proprio processo di infantilizzazione che l’ha ritratta come una donna vulnerabile e incapace di prendere decisioni. Il fatto che proprio Jamie sia stato nominato tutore legale legittima l’atteggiamento di protezionismo paternalistico della legge nei confronti delle donne.»
Il movimento #Free Britney: una battaglia per l’autonomia
I fan hanno subito iniziato a diffondere l’hashtag #FreeBritney, chiedendo a gran voce la fine della tutela legale. In seguito, la cantante ha chiaramente espresso la volontà, rigettata pubblicamente dal padre, di rimuoverlo dall’incarico. Le apparizioni sui media della madre e del fratello di Britney hanno confermato quanto dichiarato da lei in merito alla tutela. La cantante stessa ha espresso gratitudine ai fan per il loro sostegno informato.
L’11 febbraio 2021 il tribunale ha nominato la società finanziaria Bessemer Trust co-tutore di Britney Spears, come da lei espressamente richiesto nell’ultima udienza; le prossime sono fissate per il 17 marzo e il 27 aprile 2021. Il movimento #FreeBritney nasce sulla scia del #MeToo, noto per sostenere con forza l’azione e la libertà femminile, e continua a guadagnare consensi attraverso proteste organizzate e il supporto social di altre celebrità.

Il documentario mette in luce con successo come a Britney sia stato tolto il controllo sulla propria vita in maniera sistematica, andando ad alimentare quel senso di ingiustizia che si crea ogni qual volta veniamo privatə della libertà e l’indipendenza.
Questo articolo è stato pubblicato su Feminism in India e scritto da Rajeev Anand Kushwah, potete trovare la versione originale in inglese qui. Rajeev ha una laurea in scienze politiche e una in studi di genere, ha pubblicato su EPW, Women’s Link Journal, Shuddhashar, e Hindu College Gazette. Il suo lavoro verte per lo più sull’esplorazione delle mascolinità, sull’etica di cura femminista e sulle esperienze queer.