FERNANDA FALCãO: COME IL CORPO DIVENTA ATTO POLITICO
Intervista all’attivista transgender che combatte per i diritti delle persone trans.

Il Brasile è uno dei paesi al mondo in cui vengono assassinate più persone trans: su dieci omicidi quattro avvengono nel paese carioca. Secondo la «Asociación nacional de travestis y transexuales», nel 2020 gli omicidi brutali sono stati 175, nel 2021 140. Il Brasile è anche il paese dell’America Latina in cui la polizia ammazza più persone nere, molte di più persino rispetto agli Stati Uniti: ogni 23 minuti in Brasile, una persona nera viene uccisa. E Fernanda è nata in Brasile.
Fernanda Falcão è una donna nera transgender, è un’infermiera, è stata una sex worker in situazione di vulnerabilità, per un periodo è stata anche sottoposta alla libertà vigilata. Oggi, è assessora di politiche strategiche della segreteria di stato dello sviluppo sociale e dell’infanzia e della gioventù nello stato di Pernambuco, e difensora dei diritti umani delle donne trans e della collettività LGBTQIA+. È stata anche una delle prime donne trans in Brasile a sollecitare in tribunale la morte assistita.
Fernanda combatte contro la tratta di persone per fini sessuali, tanto cisgender come transgender, motivo per cui ha subito numerosi tentativi di assassinio, una detenzione forzata ed è stata minacciata di morte nel suo paese.
Mentre aspettavo il via libera per pubblicare questa intervista, Paulo Vaz, più conosciuto come Popo Vaz, un uomo trans gay e attivista, molto noto in Brasile si è suicidato. Questo mi ha costretta a confrontarmi con un’altra dura realtà delle persone trans in questo paese, ossia l’alto indice di suicidi. Secondo lo studio «Transexualidades y salud pública en Brasil» si stima che il 42% della popolazione transessuale brasiliana ha tentato il suicidio. Nello specifico, ha rivelato che l’85,7% degli uomini trans ha pensato o tentato di farlo.
Se ti trovi in Italia e conosci qualcuno che sta meditando il suicidio, puoi contattare il numero verde 800.18.09.50.

Sull’essere una donna transessuale
Fernanda, in una tua intervista hai raccontato che ti sei innamorata di un ragazzo e che, dopo aver rivelato a tua madre di essere gay, sei stata cacciata di casa. Quando ti sei resa conto della tua identità di genere?
Credo che il ragazzo se ne sia reso conto prima di me, perché io ero ancora influenzata dall’idea che le persone travestite o trans fossero persone malate e malvagie, persone con il demonio in corpo, incapaci di contribuire alla società. Quando ho conosciuto questo ragazzo, lui mi ha trattata come una donna e mi ha fatto capire le ragioni per cui non riuscivo a comunicare con il resto del mondo: in quel momento, io stessa non riuscivo a capirmi né come uomo né come donna, pensavo che un essere umano come me non fosse mai esistito. Credevo di essere un OGNI, un Oggetto Gay Non Identificato, ma non era così. Semplicemente mi mancavano i punti di riferimento. A quindici anni però compresi la verità. Capii che Fernanda era sempre stata dentro questo corpo e che le difficoltà che aveva avuto nel celebrare la propria identità erano dovute ai pregiudizi che mi erano stati inculcati. Tali pregiudizi mi avevano convinta che se mi fossi addentrata in quegli spazi sarei stata considerata una persona malata e da demonizzare; avrei avuto delle difficoltà a entrare in politica; e questo in un certo senso corrisponde al vero. Però ho deciso di essere felice, e di vivere l’identità che mi sono creata, questa identità che mi rende più forte e nella quale mi riconosco. È un prezzo caro da pagare, ma è un prezzo necessario.
Fernanda, ti senti rappresentata dagli ideali dell’8 marzo?
Sì, senza ombra di dubbio. Storicamente, abbiamo un debito con i movimenti delle donne. Sebbene all’inizio il movimento femminista nazionale e internazionale non appoggiassero apertamente le istanze delle persone travestite, transgender e transessuali, hanno comunque contribuito al loro sviluppo.
Hai partecipato a qualche manifestazione l’8 marzo di quest’anno (N.d.T. 2022)?
Sì, a Pernambuco solitamente si lavora in modo trasversale, l’identità femminile soffre un’estrema vulnerabilità sociale e culturale all’interno della nostra cultura machista e sessista. Per questo non dovremmo agire separatamente, è solo deleterio, poiché siamo ancora vulnerabili agli stessi pregiudizi, agli stessi attacchi e ai terribili assassini di molte di coloro che hanno dato la propria vita perché oggi noi potessimo vivere per parlare di questi temi e condurre questa discussione a livello politico.

Sulle minacce di morte quotidiane
Chi sono coloro che ti minacciano di morte e perché?
Combattiamo e vogliamo fermare la tratta delle persone. Coloro che trafficano esseri umani, coloro che trafficano le ragazze trans e cis, sono loro che mi stanno dando la caccia.
L’anno scorso hai iniziato l’iter per ottenere la morte assistita, cosa ti ha spinta a questo punto?
Negli ultimi due anni, la percentuale di persone come me che sono state ammazzate e stuprate è aumentata, e lo scorso anno si sono susseguiti numerosi assassini di persone trans e travestite. Sono stati omicidi brutali: alcune persone sono state bruciate vive, ad altre sono state tagliate parti del corpo o hanno subito altre azioni mostruose. Ero disperata e così ho deciso di portare avanti questa richiesta, cosa che non era mai stata fatta in Brasile, poiché è un paese molto lento nel recepire queste tematiche. Inoltre, questo è sempre stato il mio piano B: morire in modo dignitoso. Per molto tempo ho creduto che morire fosse l’unica soluzione per mettere fine a tutti i miei problemi, ma mi è parso un atto di codardia abbandonare le mie compagne.

Sulle politiche di visibilità e protezione delle persone trans in Brasile
Secondo te quali sono le misure più importanti che deve attuare il Brasile per evitare gli assassini e le persecuzioni delle persone trans, considerate le statistiche che pongono questo paese al primo posto di questa terribile classifica?
Per porre fine alle uccisioni bisogna abbandonare i preconcetti propri di questo contesto storico, nel quale il corpo viene continuamente demonizzato. In Brasile si assassinano le persone travestite principalmente perché i loro corpi sono visti come demoniaci, come corpi privi di un valore sociale, come corpi che non vengono considerati come appartenenti a persone con il diritto di essere cittadini, cittadine e cittadinə. Nonostante queste nostre difficoltà ad accedere alle politiche di base, paghiamo le tasse come qualsiasi altra persona. La costituzione brasiliana nel suo primo articolo parla proprio del diritto alla vita, ma come facciamo a parlare di diritto quando la speranza di vita di una persona trans nera in Brasile è di 28 anni?
Non parlo di inserimento in politica, perché è necessario attuare delle modifiche a questo processo, tuttavia siamo il paese in cui avvengono più omicidi di persone travestite e transessuali, e al contempo siamo il paese che vende più contenuti sessuali che ritraggono queste stesse persone. È discordante affermare che l’accesso agli spazi politici si basa sulla conoscenza, quando invece è solo fondato sul valore economico: chi ha potere di acquisto guadagna l’accesso e chi non lo possiede non lo ottiene. Senza contare che la concessione o privazione dei diritti è inscindibile dalla propria condizione di partenza, coloro che hanno un corpo nero, sono costrettə ad attraversare altre vulnerabilità.
Come possiamo cambiare le cose? Credi sia possibile invertire la rotta in tempi brevi?
È difficile che il cambiamento avvenga nel breve periodo, però credo che sarà possibile diffondendo l’informazione su questi temi. È necessario che chi è in possesso di privilegi, come le persone cisgender ed eterosessuali, ci includa negli spazi di potere e negli spazi politici. È necessario che si creino spazi in cui possiamo parlare delle nostre specificità, dove possiamo mettere in luce i nostri corpi trans per sviluppare un dialogo migliore, che possa stimolare anche l’accademia a parlare di queste tematiche, perché cerchi esperienze positive nel trattamento e nella cura dei nostri corpi. È necessario che l’esistenza di questi corpi all’interno della società si irrobustisca, in modo da permettere un ingresso e un potenziamento anche a livello socio-economico. È necessario garantire perlomeno la riduzione delle sofferenze di questa parte di popolazione: so che non sarà possibile eliminarle del tutto, ma direi che è necessario assicurarsi che la prospettiva di vita delle persone trans sia superiore ai 28 anni e che l’accesso al cibo e il diritto alla vita siano tutelati. Queste politiche sono necessarie per far crollare questa cultura dello sterminio e per raggiungere una formalizzazione e un potenziamento socio-economico di questa parte della popolazione. Già ora, si intravede un Brasile dove lo sterminio della popolazione trans e travestita non viene dichiarato.
Fernanda, data la tua personalità e il tuo lungo percorso, credi che la realtà delle persone trans cambierà con il nuovo governo? (N.d.T. L’intervista si è tenuta prima delle elezioni del settembre 2022, che hanno visto la vittoria di Lula).
Un Brasile senza Bolsonaro sarà di certo più inclusivo. Un Brasile senza Bolsonaro dà la possibilità a noi persone trans e travestite di dialogare di più, così come è accaduto durante la legislatura del PT (N.d.T. Partido dos Trabalhadores, partito dei lavoratori, fondato tra gli altri dall’attuale presidente del Brasile Luís Ignacio Lula da Silva). In quel periodo venivano forniti luoghi di confronto, che davano spazio e voce ai suoi meccanismi, che cercavano informazioni nel contesto e nei movimenti sociali, cosa che ora non accade. I movimenti sociali di persone trans e travestite sono stati repressi nel contesto politico creato dal governo Bolsonaro.
Durante la legislatura di Bolsonaro, hai dunque notato un peggioramento per la popolazione trans o le cose sono rimaste le stesse?
Credo ci sia stato un peggioramento significativo. Come ho detto in precedenza, le vulnerabilità del Brasile sorgono proprio dal sistema governativo. Lo stesso Presidente ha tenuto un discorso pubblico molto chiaro in cui demonizzava questo corpo, non lo identificava come umano. Per lui questo non è il corpo di una persona con diritto a essere una cittadina a pieno titolo. I finanziamenti alle ONG che lavorano con le persone trans sono stati ritirati, la sanità pubblica è stata smantellata, e i trattamenti che vengono più colpiti sono quelli che hanno a che fare con il processo di transizione e altre questioni dirette al pubblico LGBTQIA+. Questo presidente ha scoperchiato un odio radicato, quotidiano, ma prima della sua salita al governo si trattava di un odio tabù di cui era proibito parlare, ma lui gli ha dato spazio e ha decimato i nostri diritti. Con l’uscita di Bolsonaro dovremo provare a recuperarli: i diritti alla salute, all’assistenza sociale, i diritti relativi al contesto familiare. Non possiamo dire di avere una famiglia in modo formale perché il presidente non ci riconosce, non riconosce i nostri corpi né i nostri diritti, però siamo cittadinə come tuttə, paghiamo le imposte come chiunque, contribuiamo come meglio possiamo e molte volte dobbiamo rinunciare ai nostri sogni solo per poter sopravvivere, e questa è una cosa comune tra le mie amiche e mie pari.
Perché in Brasile le donne trans continuano a essere messe nei penitenziari maschili, quando conosciamo bene le violenze che subiscono?
La questione dell’incarcerazione di donne trans o persone travestite in penitenziari maschili è parte di un processo culturale. Ancora oggi a Pernambuco, lo stato dove vivo, le donne trans e le persone travestite non vogliono andare in un carcere femminile, pur essendo un’opzione messa a loro disposizione in alcuni stati; questo perché nei penitenziari femminili esse vengono dimenticate, mentre in un carcere maschile riescono a lavorare e a mantenersi. Questo sistema carcerario volto a garantire un reinserimento sociale totale, in realtà non ci tutela affatto. La verità è che all’interno del sistema carcerario i corpi vengono disumanizzati e li si priva dei diritti fondamentali; all’interno di questi spazi i nostri corpi vengono trattati alla stregua di oggetti.
Una politica non intenzionata a soggiogare, che garantisca la sicurezza, i pasti, l’integrazione familiare, o che almeno ci provi, sarebbe il punto di partenza per portare un cambiamento e per rendere più egualitario il sistema carcerario, che al momento riserva un trattamento molto diverso a questi corpi, affinché la prigione non sia più soltanto il luogo dove contenerli.

Sull’HIV
Secondo The Human Rights Campaign, il 19,1% delle donne trans nel mondo hanno l’HIV. Pare che sia più difficile diagnosticare e trattare la malattia in queste persone a causa di ostacoli ulteriori, come la discriminazione per i servizi medici e violenze varie alle quali sono sottomesse. Hai incontrato questo tipo di discriminazioni all’interno dei servizi sanitari? Quali?
Sì, i servizi sanitari sono spazi estremamente disgregatori, dove i nostri nomi e le nostre specificità biologiche non vengono riconosciuti. Oggi combattiamo una battaglia costante perché la società brasiliana comprenda che un corpo trans maschile è un corpo che può portare a termine una gravidanza, che un corpo trans femminile è un corpo che necessita di trattamenti da parte di un proctologo, che vi sono corpi maschili con utero e corpi femminili con la prostata.
Dobbiamo diffondere questa consapevolezza su grande scala. Dialogare all’interno del mondo accademico permetterà di potenziare questa discussione. In quegli ambienti ancora non si discute delle necessità specifiche dei corpi trans, che sono molto costose. Le persone muoiono per colpa di questo mancato riconoscimento all’interno del processo sanitario, al quale non si sentono legittimate ad accedere o addirittura a cercarlo, perché sanno che in qualsiasi luogo incontreranno sempre delle difficoltà. Ciò di cui abbiamo bisogno è che le politiche di salute pubblica vengano rese effettive, che giungano a questa parte della popolazione, che si ottenga il diritto alla cura in spazi appositi in modo umano. Questa deve divenire la priorità, la consuetudine per noi non può più essere caratterizzata dai maltrattamenti e dal rifiuto di curare i nostri corpi.
Sull’esilio in Spagna
È stato difficile per te ottenere protezione in quanto donna transessuale?
Le persone trans difficilmente riescono a beneficiare dei servizi di protezione, è stata un’eccezione che io ci sia riuscita. In realtà, è stato possibile grazie all’invito che abbiamo rivolto ad alcuni spazi sociali a conoscere il nostro lavoro, che pur essendo un’attività da formichine, influenza la vita di molte persone, la creazione di politiche pubbliche e incentiva i governi che lavorano nella stessa prospettiva.
Dopo che hai trovato persone disposte ad aiutarti, che ostacoli hai incontrato a fuggire dal Brasile?
Quando ho capito per la prima volta che mi avrebbero assassinato se fossi rimasta in Brasile, sono stata aiutata da Maria Clara Sena, un’altra donna trans di Pernambuco, della mia stessa città, Recife, che aveva già affrontato le mie stesse difficoltà, ed era stata esiliata in Canada. È lei che mi ha invitata e mi ha consigliato di cercare asilo in Canada; ma dopo aver fatto un tentativo, ho scoperto che dovevo risiedere nel territorio canadese per poter fare domanda, perciò il mio trasferimento è stato reso impossibile e infine è stato bloccato dal processo burocratico di quel paese. Alcuni amici e il mio compagno, che vive qui in Spagna, sono riusciti a trovare i soldi per permettermi di nascondermi, per tenermi al sicuro in spazi separati in modo che non mi trovassero e mi uccidessero, visto che il mio assassinio era già stato programmato. Hanno provato a rapirmi, mi hanno bastonata per strada, mi hanno tagliato i capelli, però sono riuscita a fuggire e a mantenermi in vita. Non so ancora per quanto tempo, perché vivo ancora nascosta. L’effettivo processo di uscita dal paese ha avuto inizio quando alcune persone che già avevano lavorato con noi ad altri progetti sono venute a conoscenza del mio caso e, con l’ausilio di persone in loco, mi hanno invitata ad andare in Spagna. Mi hanno assicurato che al mio arrivo avrebbero sollecitato la richiesta di asilo perché, in quanto cittadina brasiliana, per me è più facile entrare in Spagna anche senza il permesso da turista. Una volta lì mi avrebbero aiutata a trovare una soluzione e a presentare una richiesta d’asilo.
Fernanda, hai intenzione di continuare a fare attivismo qui in Spagna?
Questa è una domanda difficile, non ho mai scelto di fare attivismo. Il mio corpo è un corpo politico estremamente vulnerabile, un corpo che ha bisogno di una politica pubblica mirata, una politica pubblica sensibile. La mia stessa esistenza è un atto politico, che io rimanga viva è un atto politico. L’attivismo è parte della mia vita, principalmente per le difficoltà che ho dovuto affrontare. Ho iniziato a comprendere che ci sono cose che non posso cambiare, però posso fare in modo che chi verrà dopo di me possa beneficiare dei diritti che io non ho avuto. Questo mi rende felice e, dato che ciò che voglio è essere felice, per poter continuare a esserlo voglio vedere i miei pari felici. Questo è il minimo che io possa fare, questo è ciò che significa avere un’identità, questo è ciò che mi rende più forte. Io sono l’attivismo, l’attivismo nasce nel momento in cui io riesco a restare viva tutti i giorni.
Vorrei concludere questa meravigliosa intervista con una qualche raccomandazione di libri o qualche citazione che abbia un grande significato per te, Fernanda. Con quale scrittorə brasilianə vuoi terminare questa intervista?
Voglio citare un testo di Augusto dos Anjos, che parla un po’ della realtà di un corpo trans o travestito.
Osserva! Non v’era nessuno all’orrida
Sepoltura dell’ultima tua chimera
Solo l’ingratitudine – una pantera –
Fu la tua inseparabile compagna!
Alla melma ti devi abituare
In questa misera terra
L’uom che tra le fiere vive
Fiera dovrà lui stesso diventare.
Il fiammifero in mano, la sigaretta accendi!
Il bacio, amico, che il catarro prelude.
Accarezza la mano e insieme lapida!
Questa intervista a Fernanda Falcão, tenuta Talita de Fátima B Moreira, è stata tradotta dalla rivista Afrofeminas. Potete trovare l’articolo originale qui.