femminismo e capitalismo globale
Il femminismo non può prescindere dalla lotta anticapitalista
Il femminismo è un’ideologia socioeconomica e politica che ha come obiettivo lo smantellamento di tutte le strutture che operano una discriminazione di genere. Più semplicemente, difende il diritto ad avere pari opportunità per tuttǝ in un mondo in cui l’iniquità è sistemica. Il femminismo esalta la rappresentazione della diversità, secondo cui gli individui hanno identità, esperienze, conoscenze e punti di forza unici, che non devono essere trascurati nelle varie fasi e livelli di sviluppo.
Il capitalismo è un sistema economico in cui i mezzi di produzione sono privati e le decisioni su cosa, come e quando produrre sono in gran parte determinate dalle potenze del libero mercato, che si basano principalmente sui profitti.
Il nesso scomodo tra patriarcato e capitalismo è stato discusso a lungo e animatamente. Il capitalismo come sistema economico è concepito come intrinsecamente sfruttatore e oppressivo soprattutto per quanto riguarda l’asimmetria di potere tra chi detiene i mezzi produttivi e gli individui che vendono il loro lavoro. Questo squilibrio di potere aumenta quando è una donna a ricevere uno stipendio che sminuisce in modo significativo il suo valore. Argomenterò questa tesi basandomi sulla mia esperienza di lavoro sul campo.
Lucknow è un centro di complessi lavori di ricamo – chikankari, zardosi – e di cucito. Parlando con le donne impegnate in questo lavoro, è emersa la questione del salario da fame e della paura costante di perdere il posto. Per un pezzo di ricamo (7 x 10 cm) guadagnano tra le 30 e le 70 rupie (0,36 euro e 0,83 euro), a seconda del livello di precisione. Disegnare uno di questi pezzi richiede dalle quattro alle sette ore!
La posizione di un individuo nel processo di produzione e distribuzione determina nella sostanza il suo potere contrattuale. Osservando i diversi tipi di industrie nei settori informali, una caratteristica comune a tutti è lo sfruttamento delle donne nei livelli più bassi della catena di approvvigionamento. Ciò riduce a zero il loro iniziale potere di negoziazione.
Il femminismo è a favore della libertà economica, ma finché denaro e potere si equivarranno, non è possibile garantire che gli obiettivi del femminismo verranno raggiunti soltanto in questo modo. L’empowerment economico prepara senza dubbio la strada per la liberazione individuale, ma non bisogna dimenticare che il capitalismo favorisce l’individualismo all’azione collettiva.
bell hooks, nota per la sua teoria femminista intersezionale, sostiene che lottare per la parità salariale e reclamare posti dirigenziali rifletta un “pregiudizio di classe borghese”. Queste attenzioni non prendono in considerazione e non sono rappresentative dei diversi bisogni e aspirazioni delle donne razzializzate.
Il capitalismo opprime strutturalmente, inibisce e limita l’accesso alle risorse degli individui marginalizzati, delle minoranze e delle persone diversamente abili, riducendo le opportunità a loro disposizione. Sulla base di tali strutture di disuguaglianza, si esacerba ulteriormente il sessismo, il classismo, l’abilismo e il razzismo. Il patriarcato e il capitalismo sono intrinsecamente legati. La mercificazione del lavoro delle donne è alla base delle strutture di potere ineguali normalizzate dal capitalismo.
Il femminismo, d’altra parte, è radicato nei principi di equità. Si batte per sconfiggere le strutture oppressive, mentre il capitalismo, che gestisce la produzione, si nutre di queste disuguaglianze strutturali. Più semplicemente, per un capitalista che è ciecamente guidato dalla massimizzazione del profitto, è vantaggioso assumere “manodopera a basso costo”. E chi predomina in questi lavori precari e mal pagati? Senza dubbio le donne.
L’edizione 2020 del rapporto delle Nazioni Unite sullo stato dell’uguaglianza di genere nel mondo mostra che il divario di genere nel mercato del lavoro è rimasto lo stesso dal 1995 – anno in cui la storica Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d’azione per l’uguaglianza di genere sono state adottate all’unanimità in tutto il mondo.
Il World Economic Forum ha pubblicato il suo annuale Gender Gap Report 2021 il 31 marzo, che è ironicamente anche il mese della storia delle donne. L’India è scivolata di 28 posti classificandosi su 156 paesi 140°. Il grande piano di privatizzazione promulgato dal governo nel bel mezzo della pandemia per dare slancio all’economia indiana deve essere osservato attraverso una lente femminista, soprattutto per quanto riguarda l’operazione contro le minoranze che vengono rappresentate poco e male.
I governi, le istituzioni e le organizzazioni in generale devono iniziare a riconoscere e accettare che c’è una disuguaglianza di genere che affligge la nostra società. Questa disuguaglianza deve essere associata al gender mainstreaming in tutte le fasi e a tutti i livelli di pianificazione, dalla progettazione delle linee politiche fino ai processi decisionali.
Il gender mainstreaming è un approccio trasformativo che ha un immenso potenziale nella sfida allo status quo e alla distribuzione disomogenea delle risorse. Partendo dall’identificazione attiva dei diversi bisogni degli individui, questo approccio può veramente portare a un cambiamento di paradigma nelle nostre strutture sociali, politiche ed economiche e, in definitiva, incentivare una crescita economica inclusiva.
L’espressione femminismo intersezionale è oggi ampiamente usata con scarsa cognizione. Le insopportabili pressioni economiche diffuse da approcci iperproduttivi e individualisti non devono essere trascurate dalle femministe. Da giovane femminista quale sono, faccio appello a compagnǝ femministǝ e vi chiedo di abbandonare queste finte narrazioni di liberazione economica vendute dalle strutture capitaliste.
Le donne sono colpite in modo sproporzionato dall’oppressione economica dovuta al lavoro forzato, ai salari da fame, al triplo carico di lavoro, alla mancanza di risorse e opportunità. Come femministe, in mezzo a questo tumulto politico, non possiamo essere ingenue e credere che le istituzioni capitaliste reinventeranno le loro strutture oppressive. Piuttosto lavoreranno solo per rafforzare i propri mezzi.
Il nostro compito è quello di collettivizzare, co-creare spazi collaborativi, eliminare la “cultura della vita frenetica” diffusa dal capitalismo e sfidare le disuguaglianze sistemiche.
Questo articolo è stato tradotto da Adele Bertocchini. L’originale è pubblicato su Feminism in India e potete leggerlo in inglese qui. L’autrice è Aarushee Shukla, laureata in scienze sociali, si dedica a progetti di ricerca femminista e potete seguirla su Instagram, Facebook e Twitter.